Come Polvere Di Gesso soffiata via dal vento dei nuovi
populismi, abbiamo l’impressione che la linea di demarcazione del campo
politico in cui giochiamo la partita della sopravvivenza delle democrazie stia
scomparendo. Questo genera in noi due diverse reazioni: la paura del futuro,
l’idea cioè che il nostro sistema di idee e valori possa essere rovesciato;
l’attrazione irrazionale per chi ci vuole sudditi, lo stravagante desiderio di
somigliare ai nuovi Cesari (con picchi di ironia: Bersani ormai stalker
politico di Beppe Grillo). In questo numero L’Espresso analizza i due
sentimenti opposti che spaccano l’Europa e il nostro Paese e che, se non
compresi in tempo, rischiano di portarci a una crisi non solo politica ma
antropologica del nostro modello di convivenza. Abbiamo di fronte tre volti
diversi, eppur contigui, di quelle che possiamo chiamare le nuove dittature,
diverse dal secolo scorso, ma pericolose su scala globale: l’America di Trump,
la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan. E un interrogativo: siamo cambiati
anche noi per colpo loro? I primi passi di Trump alla Casa Bianca portano già i
segni della crisi. Un consenso fra i più bassi mai registrati. I dubbi degli
americani su The Donald alla prova dei fatti. Ci mostrano, insomma, una
caratteristica di questo tipo di potere: il populismo fa e disfa a parole, ma è
impreparato a governare. Odora di reazione, guarda indietro. E se non possiamo
dire che Trump sia già finito, certo vacilla. Dopo la débâcle sull’Obanacare
(conseguenza dell’opposizione che finora hanno fatto i repubblicani di destra),
il presidente si lancia su carbone e infrastrutture. Proiettandosi in un futuro
che odora di antico. E negando di fatto all’America il ruolo di pioniere
economico e culturale del pianeta. Eppure in Europa non solo Trump piace ancora
ai partiti anti-sistema, c’è chi è attratto dal fascino oscuro degli altri
dittatori moderni. Sia nella Russia di Vladimir Putin, dove il pugno di ferro
non trova uffici federali né giudici a far da scudo allo Zar, come invece negli
Usa avviene, ma risveglia una nostalgia sovietizzante, l’eco della falsa
potenza che finge di rialzarsi, tira a lucido i monumenti, ma al tempo stesso
serra le manette ai polsi di chi dice no e tiene il popolo in miseria. Poi c’è
Recep Tayyip Erdogan, che ammaliò l’Occidente (si parlò di una Dc islamica,
mostrando i limiti di immaginazione che accecarono l’Europa) ma che ora ha
tolto il velo al suo progetto: cercare una via pseudo-democratica al potere
eterno, un sultanato in versione millennials fatto un po' di botte e un po' di
referendum. Quanto Ci Costa Tutto Questo? L’Espresso prova a misurare l’ombra
che di democratori allungano su di noi. Alla vigilia delle elezioni in Francia,
dove il “piccolo principe” Macron tenta di fare da argine alla sconfitta del
sistema democratico. E alla vigilia della campagna elettorale che in Italia si
aprirà con le primarie del Pd. Il rischio? Che non ci crediamo abbastanza. Noi
per primi. E che si perda di vista l’urgenza di azioni capaci di distogliere il
popolo dal miraggio del Grande Capo. Capaci di parlare al Paese che – già si
scorge negli Usa – sa che la rivoluzione a parole è facile ma pericolosa.
Perché avvia una regressione politica, economica e culturale. Che per noi
sarebbe il baratro.
Tommaso Cerno – Editoriale – L’Espresso – 2 aprile 2017 -
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