E Se La Politica
Americana diventasse
un incontro ravvicinato del terzo tipo tra “The Donald” e Mr. Facebook? Facendo
un piccolo esercizio di fantapolitica – tutt’altro che irrealistico – la
prossima corsa presidenziale potrebbe appunto configurarsi come uno scontro al
vertice tra Donald Trump e Mark Zuckerberg. Ovvero un big match di pugilato
politico tra il “cavallo pazzo” che ha fatto saltare tutti i pronostici
(costringendo l’establishment del Partito repubblicano a designarlo) e uno dei
grandi finanziatori della candidatura sconfitta del Partito democratico Hillary
Clinton. E, dunque, la fine della politica come l’abbiamo conosciuta, e una
gigantesca pietra sepolcrale sulla sua concezione come contrapposizione tra
destra e sinistra (seppure nelle varianti molto peculiari e “deideologizzate”
tipiche degli Stati Uniti). Nonché il viale del tramonto dell’ammaccato
bipartitismo, perché i due partiti Usa finirebbero per perdere anche la loro
(residuale) funzione primaria di comitati elettorali e macchine per la raccolta
del consenso dei candidati alle cariche pubbliche. Recentemente, infatti, il
patron del social network più popolare (e popoloso) del mondo (un continente
smaterializzato che conta circa due miliardi di abitanti) ha pubblicato il
torrenziale post di quasi 6mila parole Building
Global community, che è un manifesto ideologico e un libretto “rosso delle
potenzialità di emancipazione e delle capacità di affratellamento offerte della
tecnologia e un inno a multiculturismo e bellezza della differenza. E che
disegna il Villaggio globale secondo il “canone di Facebook”, vale a dire una
immensa comunità più sicura e informata, ispirata da idee di inclusione e
impegno civile. Un puro distillato di Californian ideology, ma orientato in
senso liberal, con l’invito a ripensare gli elementi problematici della
globalizzazione. Un post di Fb che cale una piattaforma politica ed esprime una
visione all’antitesi del trumpismo. Non è detto che diventi anche un programma
elettorale – e, come naturale, l0interessato nega recisamente – ma la
suggestione è fortissima, e fa il paio con i viaggi dentro l’America per
conoscere in prima persona il “popolo di Fb” che Zuckerberg ha intrapreso da
qualche tempo. Il social network, parola del suo fondatore e presidente, cessa
così di essere un canale neutro e neutrale e, dunque, se non è una “discesa in
campo”, siamo senza ombra di dubbio in presenza di una “scelta di campo”. Un
“campo neo-progressista”, dove il collante della solidarietà, base della storia
delle sinistre, lascia il posto al legame debole della connessione (e della
connettività), versione molto postmodernizzata della fraternità, che si
contrappone orgogliosamente alla preoccupante marcia - anch’essa mondiale – dei
populismi. Dunque, se la politica moderna è fatta di fratture, qui c’è un
catalogo di quelle nuove, che stanno riscrivendo il nostro presente e il nostro
futuro. La Silicon Vally contro il Midwest e una certa New York nella “versione
di Donald”. La new economy high tech e digitale contro la old economy del
mattone e del petrolio. Lo stile di vita openminded e vegan-chic delle
metropoli vs. Il
tradizionalismo e il junk food dell’America profonda di provincia. Gli ex nerd
e smanettoni cresciuti e divenuti politicamente corretti vs. i rudi maverick anti-gender. Il
giovane miliardario di centrosinistra vs. l’anziano miliardario di destra. In
ogni caso, billion e multimilionari. E, quindi, bye bye partiti e politici di
professione: l’avvenire della politica è decisamente salpato per altri lidi,
tra privatizzazioni a vario titolo della sfera pubblica, personalizzazione
spinta e comunicazione a tutto spiano.
Massimiliano Panarari - Opinioni – Donna di La Repubblica – 15 aprile 2017 -
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