“Qua devo tornarci a pescare”, dice
Matteo Salvini fotografando barche ormeggiate. Da quando ha messo piede
sull’isola di Lampedusa, ha già ripetuto questa frase cinque o sei volte. Ne ha
già ripetute altre, a beneficio di brevi lanci di telegiornale utili a varcare
la soglia di attenzione tra i due principali eventi di giornata. Roma è
blindata per l’anniversario dei Trattati, Milano sta ricevendo il Papa e di
Salvini a Lampedusa oggi non si saprà granché. “Qua devo tornarci a pescare”,
ripete Salvini gestendo con goffaggine l’imbarazzo della sua prima volta
quaggiù. Oggi è venuto per cinque ore “per lavoro e per capire” ma poi tornerà,
promette, magari quest’estate, in vacanza. Cinque ore a Lampedusa sono niente,
soprattutto se, tra una tappa e l’altra del tour, ne passi buona parte a
guardare le telecamere o il telefonino come avresti potuto fare a Pontida o
Varese. I luoghi scelti per far capire Lampedusa a Salvini hanno
l’autorevolezza del momento simbolo e il pregio di preservare Salvini da ogni
possibilità di contatto, anche visivo, tanto con i circa i 600 ospiti del
centro d’accoglienza quanto con il resto della popolazione non motivata a
vederlo. Il tour, tragicomico per modi e contenuti, approda al molo Favarolo,
teatro di sbarchi, sogni e drammi che prendono forma da anni ogni volta che
approdando qui, toccano terra. “Qua devo tornarci a pescare” ripete Salvini
guardando l’acqua meno balneabile di tutto il mare di Lampedusa, ma siccome
anche non comprendere ami il contesto e la sacralità dei luoghi ha un limite, un
uomo della sicurezza sussurra a mezza bocca; “Sì i cadaveri ci viene a
pescare…”. Salvini ride ignaro qualche metro più in là, tra un tg che riverisce
e selfie che abbondano sulla bocca di chi, pochi minuti dopo, incontrando una
sparuta rappresentanza di lampedusani, verrà a scoprire che Lampedusa ha un
sacco di problemi e che l’immigrazione dall’Africa forse non è il primo. Anzi,
la legge del contrappasso porta Salvini a scoprire e comprendere che da qui i
governi (inclusi quelli con ministri leghisti), si è troppo spesso costretti a
migrare, addirittura senza che in Italia ci sia una guerra in corso, e che
migrare non è divertimento ma necessità, voglia di vivere e lottare. Ma di
questi tempi, il politico di razza, quando vede la razza meno amata, se lontano
da testimoni e telecamere torna vigliaccamente se stesso. “Pomeriggio
impegnativo per i “richiedenti asilo” ospiti a Lampedusa”, scriverà sotto la
foto fatta ai primi immigrati intercettati con la vista, rei di giocare a
pallone in attesa di conoscere il proprio destino. Alcuni di loro, arrivati
affamati e feriti, dopo una settimana nel centro, non ce la fanno nemmeno a
correre ancora. Ma questo Salvini non lo saprà mai. E nemmeno i suoi follower.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di La
Repubblica – 7 aprile 2017 -
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