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martedì 18 aprile 2017

Lo Sapevate Che: Recitare? E' liberare un personaggio sepolto nel proprio io...



In Un’Intervista Sull’Espresso (n.52) a Isabelle Adjani, di Angiola Codacci-Pisanelli, l’attrice fa un’affermazione che i ha incuriosito: “Fare l’attore è rischioso, perché il tuo inconscio non sa che reciti”. Forse è una battuta per enfatizzare il lavoro dell’attore o forse no. Recitare può modificare la nostra personalità, il nostro carattere, e può essere che il nostro hardware consideri le nostre “recite” come esperienze vere che andranno a implementare/modificare la nostra memoria e quindi il nostro inconscio, e influire sui nostri comportamenti futuri? In realtà noi recitiamo per buona parte della nostra vita, indipendentemente dall’essere attori o no. Lo facciamo spesso con famigliari, amici, colleghi. Il nostro inconscio distingue i comportamenti falsi da quelli spontanei?   Carlo Pini  carlo.pini@gmail.com

L’Affermazione Di Isabelle Adjani pone una questione seria: che effetto può avere sul nostro inconscio mettere in scena personaggi che risultano tanto più autentici quanto più l’attore si identifica con essi? Io non lo so. Quel che so è che – come ben ha evidenziato Eugen Bleuler, che ha introdotto nel linguaggio psichiatrico il termine “schizofrenia”, descrivendone le diverse forme, e dopo di lui il suo allievo Carl Gustav Jung – il nostro inconscio ospita una popolazione dove trovano espressione aspetti femminili, maschili, materni, paterni, senili, saggi, scriteriati, folli. Questi aspetti, o se preferiamo personaggi, sono tenuti a bada dal nostro Io che, tra i complessi che ci abitano, è quello che ha il miglior rapporto con la realtà. Naturalmente il nostro Io è in grado di tacitare, ma non di sopprimere questi abitanti inconsci. Per cui è sufficiente che l’Io, per i più svariati motivi, allenti le sue difese, che questi personaggi affiorano, prendono la parola e parlano in vece sua. Sarà capitato a tutti di sentirsi dire il giorno successivo a una sbronza: “Ieri sera non eri più tu”. Il linguaggio popolare queste cose le sa e, senza troppi giri di parole le dice. Se quanto detto ha una sua plausibilità, non è che: “fare l’attore è rischioso perché il suo inconscio non sa che reciti”, ma: “Puoi fare l’attore se il tuo Io non ha rimosso e seppellito tutti i personaggi che abitano il suo inconscio”, ma li ha lasciati vivere e addirittura ha dato loro espressione prestando ad essi, per il tempo della recitazione, il proprio Io. Se reciti un personaggio che il tuo Io ha sepolto, la tura recitazione appare inautentica e, anche se tecnicamente perfetta, si dice che “manca l’anima”. In realtà manca il personaggio che si interpreta, perché il tu Io, per mille sue ragioni, l’ha rimosso e tacitato nell’inconscio. (..). L’attore, quando è davvero un attore, dà vita a questi personaggi ogni volta che recita. E la sua recitazione è tanto più autentica quanto più vivi e non rimossi sono personaggi che lo abitano. È pericoloso dar loro vita? Dipende. Se l’Io dell’attore è forte no, se è debole sì “Forte” non significa un Io tutto d’un pezzo e severo. Questo se mai è un Io debole, che non regge il confronto con l’altra parte di sé, e perciò si arrocca su di sé, finché le sue difese tengono. “Forte” è invece l’Io che dialoga con l’altra parte di sé, che non teme di dar voce ai suoi abitanti inconsci, che siano angeli o demoni. E questa capacità la si ha in parte per natura, in parte per educazione. E proprio perché sono in dialogo con le loro parti non egoiche, gli attori sono in grado di impersonarle nella recitazione, risultando autentici. E noi, sempre se non le abbiamo rimosse, tramite loro siamo in grado di parlare e di ascoltare gli altri che sono diversi da noi, e che non avremmo la possibilità di capire se fossimo uomini, come si suol dire, “tutti d’un pezzo”.
umberogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 25 marzo 2917 -

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