Quarant’anni fa, il 13 maggio del 1974, l’Italia si scoprì
laica. Al referendum organizzato dai cattolici integralisti contro il divorzio
il 59 per cento dei votanti – con un 88 per cento di partecipazione di quel
diritto civile. In una indimenticabile copertina de” l’Espresso” all’indomani
del referendum una linguaccia beffarda sbertucciò tanto i clerico-fascisti,
intransigenti sostenitori della indissolubilità della famiglia, quanto i
prudentissimi e timorosissimi dirigenti del Pci berlingueriano. Da quel momento
la dizione un po’ americaneggiante di diritto civile, che ricordava le grandi
mobilitazioni del civil rights movement di Martin Luther King, è entrata nel
lessico italiano. Protagonisti di allora furono i radicali di Marco Pannella,
intransigenti portabandiera dei diritti civili su vari fronti, dalla
contraccezione libera e gratuita all’obiezione di coscienza, dall’aborto alla
libertà sessuale (il Fuori, “Fronte unitario rivoluzionario omosessuale italiano”,
federato al partito radicale, venne fondato nel 1971). Quelle Di Allora furono battaglie di avanguardia ma poi penetrarono gradualmente nella
cultura civica italiana portando ad una accettazione sempre più ampia di
posizioni favorevoli ai civil rights. Anche a destra si diffuse, in tempi
rapidi e persino nelle componenti più rocciose, una certa sensibilità verso
quelle tematiche. In una indagine sui militanti del Msi, condotta ben prima
della svolta di Fiuggi, emerse nei confronti della parità uomo-donna,
dell’omosessualità e dell’interruzione di gravidanza, una apertura di
dimensioni inaspettabili, ben lontana dalle rigidità omofobe e maschiliste dei
dirigenti neofascisti. Una frattura simile, tra adesioni e disponibilità
dell’opinione pubblica e ritardi e distrazioni della classe politica, sembra
riprodursi ancora oggi, e non solo né tanto a destra. C’è infatti una società
civile che in larga misura accerta le unioni omosessuali, e c’è un governo che
prima tace e poi acconsente purché sia salvaguardata la “santità” del
matrimonio eterosessuale. Il progetto di legge del governo, contro cui è
insorto il dem Roberto Giachietti, memore della sua antica militanza
pannelliana, prevede che le unioni civili siano consentite per i gay ma non per
gli eterosessuali. Un controsenso, almeno apparentemente. Il Fatto E’ Che il Pd galleggia tra contorcimenti e balbettii quando si affrontano
questi temi. E così i dossier aperti sul tavolo si accumulano: perché toccano
corde sensibili in un partito dove il peso dei cattolici – meglio, della
cultura cattolica – debole in parlamento, è forte nella direzione renziana. Con
il risultato che il segretario piè veloce, è rimasto indietro. Solo le
iniziative di disubbidienza civile tanto dei sindaci di importanti città, da
Roma a Milano a Bologna (ma non Firenze…) sulle unioni civili, quanto dei
governatori delle regioni (spalleggiati dai magistrati) sulla fecondazione
assistita, hanno scosso il governo dal suo torpore. L’elenco dei ritardi non
termina con i matrimoni omosessuali e l’eterologa; i diritti civili in attesa
di soluzione per uscire da una condizione di arretratezza rispetto agli altri
paesi occidentali sono numerosi: vanno dall’accoglienza dei migranti, e
connesso riconoscimento effettivo dello status di rifugiati, alle condizioni
inumane dei carcerati, dalla regolamentazione del fine vita alla rimozione del
sostanziale boicottaggio orchestrato dalla cupola ciellina degli ospedali nei
confronti della legge 194 e della pillola del giorno dopo (la RU-486). E’ tempo
che il Pd riporti questi problemi in cima alla sua agenda politica e vi
provveda. Sarebbe paradossale che un partito della sinistra europea si facesse
scavalcare dal do Pascale-Luxuria sul terreno dei diritti civili.
Piero Ignazi – Poteri&poteri – L’Espresso – 30 ottobre
2014 -
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