Sembrava Un Pomeriggio d’agosto, quello di lunedì 25 maggio
a Roma: nessuno per strada, silenzio irreale, giù la saracinesca del tabaccaio
sotto casa già alle cinque della sera: era in programma Lazio-Roma e la città s’era
fermata. Alla faccia dei cinquanta arresti, dei settanta indagati e delle
decine di perquisizioni della “Dirty soccer”, l’inchiesta sulle scommesse
pilotate della Procura di Catanzaro, stavolta su serie D, serie B e Lega Pro.
Niente da fare, non si sciopera né si diserta, tutti allo stadio o davanti alla
tv. Più della combine poté il campanile. Anzi, per paradosso la truffa diventa
concime per la passione di parte, visto che – inutile a dirsi – riguarda sempre
la squadra avversaria…E comunque ci si consola pensando che mica l’Italia fa
eccezione, che il calcio è così ovunque e a tutti i livelli, a cominciare dalla
Fifa dell’eterno Joseph Blatter campione di favori e tangenti. Come dimostrano
i clamorosi arresti di mercoledì a Zurigo. Per l’Fbi da vent’anni i vertici del
calcio mondiale prendono mazzette per assegnare mondiali e diritti tv. E poi
già due anni fa, grazie a un’indagine congiunta svolta dalle polizie di tredici
paesi d’Europa, era stata scoperta una vasta rete criminale impegnata nel truccare
partite di calcio: 425 tra arbitri, guardalinee, dirigenti di club e giocatori
erano stati accusati di aver falsato quasi 400 partite, pure nell’inflessibile
Germania. Tutto il mondo è paese? Sì, ma questo non può diventare un
rassicurante alibi. Perché stavolta l’Italia conquista un altro triste primato
per estensione e diffusione del fenomeno. E Renzi se n’è indignato. “Dirty
soccer” dimostra che la voglia di imbrogli non è figlia solo del mostruoso
volume d’affari della serie A, ricca di diritti tv e merchandising. No, basta
anche un giro locale per smuovere appetiti e interessare la ‘ndrangheta, sempre
molto attenta al mondo del pallone.(..). Si Sono Visti in campo Berlusconi e Della Valle,
Moratti e Pirelli, Fiat e Garrone e De Laurentiis, e anche imprenditori minori
ma spregiudicati come Preziosi e Ferrero, Cellino e Zamparini, chiudere gli
occhi dinanzi a comportamenti dubbi e affidare la gestione delle squadre a
dirigenti che non avrebbero accettato nelle loro aziende, e concedere ai
giocatori capricci e benefit inimmaginabili per uno qualsiasi dei loro
dipendenti. Insomma, si sono adeguati al sistema fino a proteggerlo infarcendo
le strutture federali di controllo di personaggi indecenti. (..) Comunque Tutti
hanno preso atto che il pallone è un altro pianeta dove vigono codici speciali,
e la corruzione che vi alligna diviene spettacolo nello spettacolo. Solo che
c’è un’aggravante tutta italiana: qui il malaffare si salda con l’impunità che
a sua volta alimenta l’imbroglio. Giunto fino in Cassazione, il sistema Moggi è
stato confermato per ciò che era, compravendita di arbitri e partite, ma il suo
ideatore è stato salvato dalla prescrizione. Quasi dieci anni dopo i fatti.
Come Claudio Lotito. Ma accusa, processo e condanna non hanno certo impedito al
presidente della Lazio di restare uno dei padroni del calcio, come le
intercettazioni confermano. Almeno, quando i tedeschi nel 2005 scoprirono che
c’era del marcio nel loro calcio, i colpevoli si beccarono da 18 a 29 mesi di
carcere. Per emettere sentenza di Tribunale impiegò un anno. La verità è che
forse il calcio italiano è rimasto più o meno quello di Lino Banfi-Oronzo Canà.
Ma se è solo campanile, passione e ultrà costa troppo e non potrà mai essere
alla pari del calcio-business del nord Europa; se invece vuole diventare
industria, come costi incassi e partecipazione consentirebbero, allora deve
liberarsi dei finti manager, delle truffe da strapaese e degli impresentabili,
e muoversi con le regole e i vincoli di una grande azienda che opera in regime
di concorrenza. Campa cavallo.
Bruno Manfellotto – Questa settimana www.lespresso.it - @bmanfellotto – 4 giugno
2015
Nessun commento:
Posta un commento