Nel silenzio generale
degli intellettuali, le chiedo di prendere posizione su questa prossima riforma
della scuola, che prevede la precarizzazione a vita di tutto il corpo docente,
scelto in base all’arbitrio del dirigente scolastico, il quale disporrà di
tutto il materiale imano a sua disposizione. Sono indignata per il silenzio che
sento intorno alla questione, non solo da perte dell’opinione pubblica, ma
soprattutto da parte degli intellettuali.
Giorgia Perra – perra.giorgia@gmail.com
Temo di dover perdere la grande stima che mi dichiara nella
prima parte della sua lettera che tralascio di pubblicare, ma se proprio vuole
conoscere il mio parere sulla riforma della scuola oggi al centro delle
polemiche, inviterei lei e quanti la contestano a considerare il problema dalla
parte degli studenti, invece che dalla parte degli insegnanti. Infatti, a parte
le scuole elementari che, rispetto a quando le frequentavo io, hanno fatto
progressi davvero significativi (al punto da collocarsi al sesto posto nella
classifica globale, come ho appreso in un congresso internazionale
sull’istruzione nel mondo), le scuole medie e le superiori soffrono per la
carenza di insegnanti all’altezza del loro compito, al punto che io considero
fortunati quegli studenti che nella loro classe, su nove o dieci professori, ne
trovano almeno uno o due che siano dei veri “maestri”. Chiamo “maestro” chi
conosce la sua materia, la sa comunicare e ha la capacità di appassionare gli
studenti alla cultura, per quella dote personale che non si può “imparare”, ma
si possiede “per natura”, fatta di una autorevolezza che gli studenti
riconoscono e di una autentica vocazione e dedizione al compito educativo. “Educare”
infatti non è solo “istruire”, ossia trasmettere conoscenze, ma far presa
sull’emotività degli studenti che, se non entra in gioco, preclude l’apertura
della mente. Del resto, già Platone segnalava che si apprende per “via
erotica”. E tutti noi abbiamo studiato volentieri le materie insegnate da
professori che ci affascinavano. Per questo ritengo giusto che gli insegnanti,
al pari di tutti quanti si presentano a un colloquio di lavoro, che poi è un
test di personalità, siano sottoposti ad analoga verifica, onde evitare che chi
non possiede le caratteristiche adatte possa restare in cattedra per
quarant’anni a demotivare gli studenti, sprecando l’unica occasione che essi
hanno di essere educati in quell’età incerta che si chiama adolescenza. (..). Entrante
nei dettagli, succintamente le dico: 1) Che sono favorevole al 5 per mille per
finanziare le scuole migliori rispetto alle peggiori (altro criterio utile per
distinguerle e monitorarle). 2) Per quanto riguarda le scuole private, starei
al dettato costituzionale che non prevede “oneri per lo Stato”. 3) Non
premierei i professori meritevoli, perché significa ammettere che purtroppo
sono in attività anche quelli non meritevoli che invece dovrebbero essere
esonerati. 4) In una scuola composta solo da insegnanti meritevoli, come me la
prefiguro io in base ai criteri sopra esposti, manterrei gli scatti di
anzianità e, compatibilmente con il bilancio dello Stato, aumenterei gli
stipendi. 5) Per quanto concerne le prove Invalsi (e le prove a quiz dell’esame
di Stato), penso anch’io che sono forme assolutamente improprie per valutare la
preparazione degli studenti. Ma, finché sono previste, non è educativo che gli
insegnanti inducano gli studenti a disertarle, perché, come ci insegna Socrate
condannato a morte, le leggi vanno comunque rispettate anche se non condivise.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 6 giugno 2015 -
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