A chi non piacciono gli
ottimisti? Nella vita tutti cerchiamo più volentieri la compagnia di persone positive. Il collega che ti saluta
con un sorriso e uno squillante, autentico buongiorno è certo più simpatico di
quello che alla domanda “come va?” prende a sgranare un rosario lagnoso sul presente, gravido per giunta di
presagi nefasti per il futuro. Guardare con fiducia al futuro aiuta un
individuo nella lotta contro una malattia, così come aiuta un Paese malato a
uscire da una crisi. A patto però di seguire anche le cure giuste. Perché
esiste anche un ottimismo eccessivo, infondato e quindi dannoso. Gli psicologi
definiscono questo ottimismo non della volontà ma della stupidità come sindrome
di Pollyanna, dal personaggio di un romanzo di Eleanor Porter celebrato da Walt
Disney. Nella storia i casi in cui l’ottimismo collettivo ha prodotto risultati
catastrofici sono moltissimi. Senza un eccesso di ottimismo del resto, Germania
e Italia non avrebbero mai intrapreso una guerra contro le più grandi potenze
della terra, con la ferma convinzione di poterla vincere in pochi mesi. Sono
stato ad Atene più volte in questi mesi e non ho potuto mai fare a meno di
ricordare un convegno sulle imminenti Olimpiadi al quale avevo assistito una
dozzina di anni fa. Era tutta un’idilliaca esposizione delle magnifiche sorti e
progressive che si sarebbero spalancate davanti al popolo greco subito dopo lo
spegnimento della fiaccola di Olimpia: posti di lavoro, modernizzazione del
Paese, aumento dell’export e raddoppio del volume turistico. Un solo oratore
interruppe l’emozione con una dettagliata requisitoria dei costi insostenibili
dei Giochi per la già fragilissima economia greca e per i conti pubblici
probabilmente truccati. La reazione di condanna generale e bipartisan costrinse
il povero professore ad allontanarsi fra i fischi. In Italia abbiamo avuto per
vent’anni al potere l’ottimismo incarnato: Berlusconi. L’uomo dei sogni e del
“sole in tasca”. Sempre alla vigilia di un nuovo boom economico “più grande di
quello degli anni Cinquanta”. Quello che nel 2009, quando la Merkel metteva in
guardia l’Europa dagli effetti della crisi, sosteneva di vedere ovunque
ristoranti pieni e negozi riboccanti di clienti. Con Tremonti ad assicurare che
in Italia la crisi non avrebbe avuto lo stesso impatto che in Germania. In
effetti, da noi si è rivelato molto peggiore. Questa è la ragione per cui gli
italiani sono diventati molto più prudenti, faticano a credere che siamo usciti
dalla crisi e continuano a mettere i soldi da parte, in attesa di tempi ancora
difficili. Visto i precedenti, è difficile dar loro torto.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 29
maggio 2015 -
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