Cosa spinge un medico
come Gino Strada o tanti altri come i Medici senza frontiere a “cercare” il
dolore, la guerra, le malattie anche più insidiose? Al di là del dovere etico o
religioso,qual è il richiamo che fa dire a queste persone “io sto bene” in
mezzo a situazioni infernali? Le chiedo
questo perché di fronte al dolore io provo sentimenti ambivalenti, quasi di
autodifesa a volte, quando sto proprio male davanti a situazioni per me quasi
insopportabili, e ciò mi induce a scappare, a volgere lo sguardo da un’altra
parte. Perché allora l’uomo cerca il dolore? Provo un senso di fastidio quando
vedo chi, fatta la doverosa beneficienza, si sente a posto e non si lascia
intaccare cuore e mente da pensieri inopportuni. Ho cercato rimedi a questo
senso di disagio, ma i riti religiosi o le azioni di volontariato non hanno
risposto a questa domanda, che rimane per me in un luogo profondo e “scomodo”
della mia persona, che sente il dolore e quindi lo vuole togliere, e quello
invece rimane perché c’è e continua a restare. Perdoni la confusione, conto
sulla sua comprensione e so che non mi farà sconti emi dirà con onestà quel che
ne pensa, e per questo ci tengo. Lettera
firmata
Non è che Gino Strada e i medici senza frontiere “cerchino”,
come lei dice, il dolore, la guerra, le malattie. Semplicemente vogliono
aiutare chi, in queste situazioni, non ha alcun mezzo per salvarsi dal
dolore,dalle malattie, dalla guerra. Perché lo fanno? Perché sono sollecitati
dall’umanità sofferente che non consentirebbe loro di sentirsi in pace con se
stessi se si esonerassero dal soccorrerla. Perché una vita da medico, come si è
medici da noi, remunerati e riveriti, non li soddisfa, perché non tutti gli
uomini sono racchiusi nel loro individualismo e passano la vita a lucidare il
loro talento per farlo brillare ogni giorno di più davanti agli altri, onde
ottenere gratificanti riconoscimenti. Perché contaminarsi con la sofferenza che
nessuno cura, con la malattia che nessuno soccorre, con la ferocia delle guerre
da cui l’umanità non si è ancora emancipata,dà loro la sensazione di essere là
dove la loro vocazione medica un giorno li ha chiamati per essere servitori
della salute pubblica. E loro, nonostante le lusinghe e gli allettamenti, non hanno
tradito il loro mandato, ma l’hanno esteso a tutta quell’umanità che nessuno
soccorre. (..). Efficacia e realismo sono le forme in cui lo spirito trova la
sua incarnazione, non per salvare l’anima e neppure per essere in pace con se
stessi, ma perché l’uomo è davvero uomo solo se si sente responsabile, per quel
che può, delle sorti dell’umanità. E questo anche se la responsabilità che si
fa carico dell’umanità può dare ordini diversi rispetto a quelli che provengono
dalla coscienza individuale del medico, che a questo punto, se fa obiezione di
coscienza, privilegia le sue personali credenze a scapito dell’interesse
dell’umanità. E’ il caso, per esempio,della crescita demografica eccessiva che
esige pratiche contrarie all’arte medica,come il controllo delle nascite, la
contraccezione, l’interruzione di gravidanza, la sterilizzazione, e però in
qualche modo necessarie per rendere la vita umana compatibile con le risorse
della terra. Diventerà infatti sempre più problematico poter soddisfarla fame e
la sete, per non parlare dell’esposizione alle malattie infettive cui sono
soggette le popolazioni povere, malnutrite, costrette a vivere in condizioni
igieniche precarie. La scelta non è facile, ma non è impossibile per quei
medici la cui coscienza si è fatta carico non tanto delle sorti personali,
quanto delle sorti dell’umanità.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 20 giugno 2015
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