Tutti a Chiedersi, anche con toni angosciati, che cosa
potrà accadere all’Unione europea se gli inglesi dovessero decidere di
andarsene. Un po’ come se l’intero continente si sentisse preda di un
invincibile complesso di sudditanza politica e perfino culturale alle scelte
del Regno Unito. D’accordo che si tratta del paese culla della democrazia
parlamentare moderna e del celebre “Habeas Corpus Act” ma non è che questi
meriti storici possano far dimenticare la strategia ostativa che il governo di
Londra persegue da sempre nei confronti del grande progetto di federazione
continentale. Proviamo, quindi, a rovesciare l’interrogativo e a chiederci
piuttosto quali rischiano di essere i costi politici ed economici di una permanenza
del Regno Unito nell’attuale Comunità. Intanto, Va Osservato che il neo-rieletto premier Cameron
sta gestendo la sua promessa di referendum sul sì o no britannico all’Ue con
insidiosa doppiezza. A prima vista, egli sembra usarla a fini interni per destreggiarsi
dinanzi all’ondata di malumori antieuropei che è esplosa nell’opinione pubblica
domestica e serpeggia all’interno del suo stesso partito conservatore. (..). Se l’Arrendevolezza degli altri soci dovesse regalare il successo a questa
neppure dissimulata estorsione, la costruzione dell’Europa subirebbe un
contraccolpo forse micidiale. Del resto,
Londra non ha mai fatto mistero di non condividere l’idea stessa di Europa
federale e di perseguire in proposito nulla più che l’obiettivo di un’unione doganale.
Al punto da operare e non soltanto per difendere i privilegi ottenuti all’atto
della sua adesione , ma anche muovendosi a più riprese per ostacolare il
cammino verso una maggiore integrazione fra gli altri soci. Al Riguardo va
ricordato che le forti pressioni inglesi a favore di un rapido ingresso
nell’Unione da parte dei paesi dell’ex-blocco sovietico non aveva soltanto il
fine di allargare e irrobustire il fronte Nato sui confini orientali, ma anche
quello di rendere meno governabile e assai più complicata la gestione di tutte
le istituzioni comunitarie, dal parlamento di Strasburgo alla Commissione di
Bruxelles.(..). Un no che non si esaurisce nella difesa delle proprie
franchigie, ma che ha anche l’effetto di un macigno sulla strada di intese anche
fra gli altri soci Ue. Dove Poi Cameron rischia di innescare una bomba
disgregante sul cammino federale del continente è su un terreno costitutivo
dell’Unione. Londra, infatti, mira a sottrarsi alla competenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo. Già, con buona pace dei cultori della democrazia
inglese, è proprio così: il paese della Magna Charta e del Bill of Rights del
1689 si dichiara sciovinista in tema di diritti. Non vuole che i propri
cittadini possano chiamare il patrio governo a rispondere dei suoi atti dinanzi
a un tribunale sovranazionale. In una fase nella quale il ritorno di fiamma dei
nazionalisti sta già producendo allarmanti deviazioni – si guardi al governo
Orbàn in Ungheria – una simile concessione a Londra equivarrebbe ad abbattere
un muro maestro della costruzione europea con conseguenze rovinose. Non si
intravede beneficio della presenza britannica nell’Ue che possa pareggiare un
tale costo.
Massimo Riva – Avviso ai naviganti www.lespresso.it 28 maggio 2015
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