Qualunque Sia Il
Risultato delle
elezioni regionali, nel Pd cambierà la geografia del potere interno.
Intendiamoci, a meno di rovesci clamorosi la leadership di Matteo Renzi non
sarà intaccata. Con grande astuzia il segretario democrat ha già messo le mani
avanti, così come fece alla vigilia delle elezioni europee. Come allora aveva
detto di accontentarsi di un voto in più rispetto al risultato delle politiche,
altrettanto oggi dichiara di essere soddisfatto di vincere in quattro regioni
su sette: proprio il minimo sindacale. Abbassare le aspettative è sempre la
strategia migliore per far apparire trionfale un risultato appena decente.
Quindi, al di là di imprevedibili catastrofi, la peggiore delle quali sarebbe
la vittoria del civatiano Luca Pastorino in Liguria, Renzi rimarrà ben saldo in
sella. Tuttavia Alcune vittorie incideranno nei rapporti interni, producendo una
maggiore autonomizzazione dal centro delle leadership regionali, in particolare
al sud. Il disinteresse della nuova classe dirigente del Pd per
l’organizzazione di partito lascia infatti un grande spazio vuoto in periferia.
E qualcuno lo riempirà. Nelle regioni di maggior radicamento tradizionale il
distanziamento già in atto tra il vertice nazionale e le strutture e il
personale territoriali prende la forma del distacco e dell’astensione. E la
vittoria di Podemos in Spagna può convincere gli scontenti che una alternativa
esiste e, in attesa che si manifesti, spingerli ancora di più verso
l’astensione. Di fronte a un tale scenario
i dirigenti locali saranno spinti ad attivarsi in prima persona
assumendo un profilo sempre più politico. Non più buoni e silenti
amministratori della cosa pubblica confinanti nelle loro sedi periferiche,
bensì leader politici a tutto tondo pronti a irrompere sulla scena nazionale,
come ha fatto a suo tempo Matteo Renzi sfruttando il trampolino di Palazzo
Vecchio. Ma Fin Qui Si Tratta di una dinamica tutto sommato “fisiologica” e
gestibile. E’ dalle regioni meridionali che può invece venire la scossa che
modifica in profondità la geografia del potere democrat. Perché, nelle regioni
del sud, il potere che presidenti di regione e sindaci concentrano nelle loro
mani è molto più fitto e pervasivo: è fatto di rapporti personali ramificati –
e quindi non ci si può stupire delle presenze politicamente anomale o
eticamente dubbie – e di una gestione “diretta” delle risorse pubbliche. Il
rapporto, antico, di lealtà che, nonostante le difficoltà, ancora lega i leader
locali del centro-nord con il partito nazionale, nel mezzogiorno non esiste
quasi. Da tempo, ognuno va per proprio conto. Al Di Là Del Caso
Siciliano, anomalo
per definizione, anche i candidati Pd nelle due regioni meridionali che vanno
al voto, Puglia e Campania, fanno dell’assertività e dell’indipendenza la loro
cifra personale identificativa. Sia Vincenzo De Luca (con il suo strascico di
problemi giudiziari) che Michele Emiliano hanno già manifestato l’intenzione di
usare il consenso ottenuto per pesare nelle decisioni nazionali. Non tanto per
contrapporsi a Renzi, quanto per rivendicare spazi di libertà nella gestione
delle loro amministrazioni. Questa autonomizzazione si fonda su una diversa
concezione dei rapporti politici rispetto a quella che circola al centro-nord:
su una concezione personalistica della politica. La saldatura tra due
presidenti di grandi regioni, ai quali possono aggiungersi il calabrese Mario
Oliverio e l’ondivago Rosario Crocetta, può condizionare ben più dei lamenti
della sinistra interna, le scelte del Pd. E renderlo, con una torsione
dell’imput renziano, più personalistico che personalizzato.
Piero Ignazi – Potere&poteri www.lespresso.it – 4 giugno 2015 -
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