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lunedì 15 giugno 2015

Lo Sapevate Che: Da oggi il renzismo non sta più tanto bene...



Secessione Progressiva, incontrata. Dalla partecipazione democratica. Un italiano su due ha smesso di votare, ha rotto quell’esile patto che lo tiene legato alla rappresentanza istituzionale. Si astiene. Per protesta, per sfiducia,per indifferenza. Forma un partito silenzioso e maggioritario. Ininfluente nelle scelte correnti, destinato tuttavia a condizionare il corso delle tornate elettorali. Come domenica 31 maggio. La secessione degli invisibili infatti scompensa i pesi nelle urne: pochi decidono per tutti. E’ la regola: chi si assenta non conta nulla. Ma alla lunga, non può funzionare così. Le liti in politica demotivano e la scarsa partecipazione impoverisce di molto la democrazia, sottolinea il presidente Mattarella. I partiti amano poco affrontare il tema dell’astensionismo. E’ lo specchio della loro inadeguatezza. Ne parlano giusto un po’ tra la chiusura dei seggi e le prime proiezioni, appena il tempo necessario per intrattenere il pubblico televisivo. E poi vai con chi ha vinto e chi ha perso. A casa sono rimasti quasi 9 milioni di persone. Né il decisionismo di Renzi, né l’occupazione di ogni schermo televisivo da parte di Salvini, né le pizze di autofinanziamento dei 5 Stelle sono stati strumenti utili per frenare l’emorragia di votanti. L’offerta pubblica – come dicono gli esperti di marketing – è insufficiente. Le ultime due sono formazioni populiste in sintonia con gli umori neri serpeggianti in tutta Europa. I 5 Stelle, sempre meno grillini, sempre più tele-presenti, non conquistano alcuna delle sette regioni in palio, ma si attestano su una media del 16 per cento. Condizione invidiabile: non hanno responsabilità di nulla ma insediano una pattuglia di consiglieri per radicarsi localmente Sono pronti a raccogliere quei sentimenti di rabbia e di ribellione verso la politica “ufficiale”, ma la loro inconcludenza pratica li relega nella sfera del voto inutile. (..). Il Partito Democratico, infine, Renzi non ha vinto queste elezioni; la “non vittoria” non è paragonabile però a quella di Bersani due anni fa. Nel 2013 l’ex segretario consumò l’occasione storica di portare al governo dell’Italia il partito-ditta post- comunista. Quell’esperienza è tramontata per sempre, nonostante i maldipancia delle correnti di minoranza. La capacità di interdizione – e di far male al suo leader, considerato un usurpatore del partito – resta invece alta. Se infatti Renzi avesse mantenuto la Liguria, avrebbe potuto dichiarare una vittoria netta. Deve accontentarsi di giocare alla playstation. Godono le minoranze, resuscitate dalla irrilevanza cui erano state relegate negli ultimi mesi. Il premier-segretario ha sottovalutato il fuoco amico. Uomo solo al comando ha puntato su un populismo riformista per depotenziare i populismi dell’antipolitica grillina eleghista.(..). Rallentare sulla via delle riforme? Quella sì, sarebbe una sconfitta. Come scrive il “Wall Street Journal” deve continuare con la sua “ambiziosa agenda di riforme”. Ma il metodo fin qui adottato evidenzia una crisi con l’elettorato e dentro il suo stesso partito. Punito in Liguria per una candidatura, nonostante le primarie, capace di lacerare il Pd oltre ogni aspettativa. Mortificato in Veneto, regione di cui la sinistra, passano gli anni, non riesce mai a cogliere la complessità. Per ora Renzi resta il leader. E’ il renzismo che non sta tanto bene.
Luigi Vicinanza - Editoriale www.lespresso.it-vicinanzal – L’espresso – 11 giugno 2015

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