Milano. C’è
una serie tv americana che in qualche modo evoca ed estremizza scenario
apocalittico di un’Ebola senza controllo. Si intitola The last Ship. La prima stagione (dieci puntate) è partita da noi a
metà settembre su Italia 1. E’ la storia di una pandemia globale. L’umanità sta
per estinguersi. L’ottanta per cento della popolazione mondiale è stata uccisa
da un virus che nessuno riesce a controllare e a debellare. L’ultima speranza è
un cacciatorpediniere Usa che incrocia al largo ed è rimasto in silenzio radio:
per questo, l’equipaggio scopre quel che è successo quando ormai tutto sembra
ormai perduto. Ma a bordo c’è Rachel, un’ostinata biologa che forse è in grado
di scoprire le cause del virus e sconfiggerlo. Però deve lottare contro paure
ancestrali e pregiudizi che si traducono in ostacoli capaci di sabotare le sue
ricerche. “Come il virus di Last ship,
Ebola suscita ansia paura, insicurezza. Perché uccide in fretta. Perché provoca
disturbi dolori e sofferenze atroci: cioè una morte brutta. Perché si teme che
non ci sia il controllo della situazione e questo alimenta una paura feroce”
spiega Giampaolo Perna, direttore del Centro europeo per disturbi di ansia ed
emotivi di Milano. Non per nulla Ebola si è guadagnata la nomea di “malattia
della paura”. Psicologicamente, il timore del contagio destabilizza: “Scatena
un senso di precarietà, e una reazione quasi automatica di paura, che è più
potente delle altre emozioni primarie – gioia, sorpresa, tristezza, disgusto,
rabbia – e che oscura inizialmente la partecipazione del sistema cerebrale,
specie quando siamo in pericolo di vita. Parte la paura e non ci sono santi…”.
La mente gioca in difesa. “Esprimiamo modalità difensive di esclusione ed
evitamento. Lo facciamo per proteggerci. Non ci muoviamo. Evitiamo contatti con
persone che potrebbero essere portatori di virus. Non frequentiamo luoghi
chiusi. L’evitamento e l’ansia hanno però un prezzo assai caro: la limitazione
della libertà” dice il professor Perna, che insegna anche nelle università di
Miami e Maastricht. “Rinunciamo al mondo esterno per difenderci. Viviamo in
allerta continua. Evitiamo di spendere, risparmiamo, per tutelarci in futuro,
un futuro oscurato da Ebola. La paura provoca quindi effetti collaterali
determinanti nell’economia, come pure nella politica, perché ci induce ad
ascoltare e preferire chi ci rassicura. Però la mente umana è fatta anche di
empatie, che ci sollecitano ad aiutare chi soffre, e spesso, la parte buona cerca di limitare l’influenza
della cattiva. Nelle persone un po’
primitive, tuttavia, la paura tende a dominare…” E se qualcuno soffia sul
fuoco, s’innescano pericolosi meccanismi di esclusione,, se non di razzismo,
spesso indotti da xenofobia: come evitare quindi le irrazionali ondate di
panico? Secondo Perna, con un’informazione dettagliata e professionalmente
corretta: “Qualunque fantasma ci sia davanti a noi, più ne sappiamo, meno
abbiamo paura”, in fondo, la ricetta giusta per guarire dalla sindrome
dell’Ebola panic è il buon senso.
Leonardo
Coen – Il Venerdì di Repubblica – 31 ottobre 2014
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