La nuova corsa all’oro è negli abissi
marini. Le profondità degli oceani ospitano migliaia di specie dai coralli ai
crostacei, dai pesci ai microrganismi, ma sono anche ricche di risorse preziose
come petrolio e metalli. Di qui il timore per uno sfruttamento selvaggio che
comprometterebbe in modo irrimediabile questo ambiente. Già al G7 dello scorso
anno si è parlato della necessità di una maggiore tutela della salute del mare.
Ora torna sulla questione un gruppo di ricerca coordinato da Roberto Danovaro,
docente all’Università Politecnica delle Marche e presidente della Stazione
zoologica Anton Dohrn di Napoli. Sulle pagine di Science Danovaro propone l’istituzione di un Organizzazione internazionale
degli abissi che, sotto l’ombrello dell’Onu, coordini la ricerca sugli
ecosistemi abissali (dai duecento agli undicimila metri di profondità) non
hanno infatti confini a delimitare tati e interessi nazionali e, nonostante
esista un’Autorità internazionale dei fondali che regola le concessioni per lo
sfruttamento delle risorse marine profonde, non viene fatto nulla per
monitorare la sostenibilità di questi prelievi. “Oltre il 50 per cento del
Pianeta è terra di nessuno, al di fuori dei confini giurisdizionali dei singoli
stati” spiega Danovaro “ per questo bisogna evitare uno sfruttamento delle
risorse che, a fronte di un immediato guadagno per pochi, comprometta il futuro
di tutti. La metà dell’ossigeno che respiriamo, per esempio, viene prodotta da
microrganismi marini e quasi il 40 per cento dei gas serra è assorbito dagli
oceani, che in questp modo mitigano i cambiamenti climatici. Ecco perché
bisogna creare un sodalizio tra ricerca e sviluppo socio-economico in cui la
ricerca indichi tempi e metodologie per uno sfruttamento ecologicamente
sostenibile delle profondità marine, e non viceversa”. La ricerca, appunto.
Perché gli ambienti profondi occupano il 95 per cento del volume degli oceani,
ma ne sappiamo ancora poco. “Dobbiamo scoprire quali specie vi abitino, come
siano connesse e quali ruoli svolgano, e, per farlo c’è bisogno di strumenti
tecnologici che permettano di acquisire ed elaborare dati in modo veloce ed
efficiente. L’Italia si sta muovendo in questa direzione: il Miur ha appena lanciato
una rete sull’Economia del Mare che chiama mondo scientifico e impresa a
collaborare per l’innovazione tecnologica in questo campo”. L’Italia coordina
anche il primo progetto europeo sul restauro degli habitat marini degradati
(merces): “In tempi di muri e barriere, il mare profondo ci ricorda che viviamo
tutti sullo stesso Pianeta e dobbiamo trovare il modo di prendercene cura”.
Martina Saporiti – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 24
febbraio 2017
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