Sulla Monetina Da cinque centesimi di dollaro, il
nickel, nel rovescio del severo volto del padre della democrazia americana
Thomas Jefferson brilla l’immagine di Monticello, la residenza del grand’uomo
nelle colline della Virginia. Ispirata dalle ville palladiane, che Jefferson
l’italofilo ammirava, al centro della sua piantagione di 20 chilometri
quadrati, la villa è uno dei massini monumenti della storia americana,
religiosamente visitata da turisti e scolaresche. Come tutti gli esseri umani,
categoria che generalmente comprende anche turisti e studenti, i visitatori
devono ogni tanto servirsi dei “bagni”, come dicono le signore educate. Ma per
qualche mese, quei “bagni” saranno chiusi, le piastrelle e i sanitari divelti e
il locale riportato a com’era nel 1771, quando la villa fu costruita. Sarà
fatto perché quelle piastrelle nascondevano il segreto che agli scolari non
veniva raccontato, e che soltanto anni di ricerche genetiche hanno svelato.
Quella stanza era l’abitazione di Sally Hemings, la schiava favorita di
Jefferson, la donna che diede al Master,
al padrone, almeno sei figli. Per due secoli dopo l’elezione di Jefferson alla
terza Presidenza (le macchine del fango funzionavano egregiamente anche allora)
i pettegolezzi che avevano accompagnato la sua carriera politica erano svaniti
nel tempo. Ma quando gli esami del dna delle persone che si proclamavano
discendenti di Thomas e di Sally hanno confermato le voci, i curatori di
Monticello hanno deciso che era tempo di riconoscere alla schiava il ruolo che
lei aveva avuto nella vita del venerabile Padre della Patria. Non era
certamente un’eccezione, nell’America del ‘700 e negli stati del Sud come la
Virginia, che il signore della piantagione, considerasse le schiave come
oggetti di piacere, e se qualche giustificazione si può trovare per Jefferson
si deve cercare nella sua breve vita matrimoniale e nella precoce vedovanza,
che lo lasciò senza la moglie Martha a 40 anni. Ma la relazione con Sally era
molto più di un semplice svago per il Massa,
il Master. Sally, ereditata bambina insieme con gli altri “attrezzi” e animali
della piantagione – come erano classificati gli schiavi – era una ragazzina e
poi una donna intelligente e informata. Ufficialmente, lavorava come sarta
nella grande villa, ma ad appena 14 anni aveva seguito la famiglia a Parigi,
dove lui era stato invitato come negoziatore per i neonati Stati Uniti. E alla
morte della moglie Sally era stata alloggiata direttamente nella villa
centrale, in una stanza di sei metri per cinque col pavimento di terra e n
caminetto. Non lusso trumpiano, ma per uno schiavo era una reggia. In quella
stanza, Sally, che i ritratti contemporanei dipingono come una bella signora
dalla pelle color caffelatte, verrà rispettata e curata anche dopo la morte del
suo illustre amante. Ma alla metà del secolo scorso, alla fine degli anni ’30,
il ritorno prepotente e rancoroso del razzismo, il timore che quella che forse
fu anche una storia d’amore almeno per lui, visto che avrebbe potuto scegliersi
qualsiasi altra donna fra le tremila di sua proprietà, avrebbe creato imbarazzo
ai difensori della segregazione razziale. La Virginia fu l’ultimo stato, 40
anni or sono, ad accettare recalcitrante la legalità dei matrimoni misti. La
stanza fu piastrellata. Il camino trasformato in un orinatoio. L’angolo dove
stava il suo letto usato per i lavandini e lo spazio del tavolo dove cuciva e
ricamava rimpiazzato da una tazza di wc. Ogni traccia di quella donna scomparve
da Monticello, sepolta sotto un impianto sanitari. Ora Sally Hemings tornerà a
vivere nella sua casa. Ai visitatori sarà raccontata anche la sua storia. Ci
sarà un “bagno in meno, per i turisti a Monticello, ma più verità.
Vittorio Zucconi –Opinioni – Donna di La Repubblica – 4 marzo
2017 -
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