Era il 1992. Nel
retrobottega di un’osteria di montagna, dove si mesceva un ruvido rosso, strani e arrabbiati
leghisti dichiaravano guerra a Roma ladrona puntando il dito contro il novello
nemico del popolo: la politica. Quel gruppetto di futuri onorevoli (su cui la
Dc d’allora non avrebbe scommesso un cent) interpretava invece una rabbia
reale. Deflagrata in un istante, ma capace di generare un’ondata d’urto ancora
non esausta nella sua spinta. Era la rabbia di un Nord satollo. Di soldi e di
tasse. Alla vigilia di una crisi che l’establishment si rifiuta di vedere e di
cui Roma si fa beffa. A distanza di 25 anni, lo Stivale è rovesciato ma stiamo
tornando lì. E se al Nord spuntavano veraci politicanti tutti distintivo ma
poco congiuntivo, al Sud rinasce il caudillo, il Masaniello. Che sfrutta e
trapassa i social per tornare dritto in casa degli arrabbiati. Da Michele
Emiliano a Leoluca Orlando che di questo parallelismo strabico fra Nord e Sud è
un archetipo, un partito-persona a caccia di un popolo pronto a seguirlo. Per
arrivare a Luigi Di Maio e alla batracomiomachia con Di Battista, giocata su
due stili contrapposti: uno si mimetizza con il Palazzo per demolirlo
dall’interno, l’altro sta fuori per ferirlo dalla strada. E, last but not
least, direbbe Donald Trump, Giggino De Magistris che per celebrare i 25 anni
di scontro con la Lega antimeridionalista e ruspante (nel senso di ruspe), ben
consapevole che le due forze centrifughe (il Nord allora, il Sud oggi) sono
uguali e contrarie, ha sfidato proprio il capo del Carroccio Matteo Salvini in
un duello fra populismi, finendo agli scontri di piazza. Eppure crescono.
Nutriti dalle polemiche, dalla sciatteria con cui liquidiamo fenomeni complessi
nella convinzione dell’Occidente di classificare e spiegare tutto. Invece no. I
partiti di governo captano poco di ciò che sta avvenendo alle latitudini
popolari- Se poi in Olanda vincono i liberali tirano tutti un sospiro di
sollievo. E non scorgono piuttosto la débâcle della sinistra in uno dei Paesi
più avanzati al mondo in fatto di libertà e diritti. (..). Una rivolta italica,
che condivide fenomeni di ribellione sociale con il resto d’Europa e d’America.
Tanto che affidiamo a Ian Buruma un’analisi di Trump, archetipo di questo caos
e termometro del nuovo orientamento postdemocratico: il “pop-populismo”. Le
associazioni per i diritti gridano allo scandalo e gli ambientalisti insorgono,
i paesi islamici contestano il Muslimban, ma sulla Fifth Ave a New York gli
homeless per intascare qualche dollaro in più indossano la maschera di The
Donald. E la gente si ferma e paga. Così come sulla High Line compaiono le
installazioni anti-Trump firmate dagli artisti emergenti del West Village, ma
poi al supermercato si vende la cioccolata ai bambini con inciso il faccione
del miliardario presidente Donald. Lo stesso cha ha fatto infuriare tutti alla
Trump Tower, perché da quando sta alla Casa Bianca, i suoi inquilini devono
passare il metal detector. E via contestando. Eppure alla gente là fuori, in
fondo, piace. È il trash che diventa pop. Fenomeno che l’America conosce bene.
E che potrebbe contagiare l’Europa. Magari non l’Olanda, ma Italia e Francia
sì. E sarebbero guai.
Tommaso Cerno – Editoriale – L’Espresso – 26 marzo 2017 -
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