“Bedankt!”, scrive il profilo twitter
del Vvd, il partito di centrodestra rimasto alla guida dell’Olanda, dopo aver
scongiurato nelle ultime settimane di campagna elettorale il rischio di cedere
la leadership del Paese al Pvv, il Partito dell’islamofobo Geert Wilders.
Complicw un improvviso intreccio di campagne elettorali, Mark Rutte, premier in
carica, resistendo alla Turchia che ambiva a fare propaganda pro Erdogan in
trasferta, ha recuperato a destra quei voti che servivano a lui e ad ogni
europeista per tirare un sospiro di sollievo alla lettura dei risultati.
L’esultanza sui social network, soprattutto se comparata alle smargiassate
nostrane, è quasi inesistente. I profili ufficiali di Rutte non vengono
aggiornati. Anche i verdi di Jesse Klaver, che da 4 sono passati a 14 seggi,
nel trionfo si limitano ad un retweet dei risultati.E sì che Klaver, giovane,
bello, di origini marocchine, il più votato di Amsterdan con messaggi
diametralmente opposte alle hit di maggior successo dell’estrema destra, ne
avrebbe di cose da condividere. Lui come altri, evidentemente, ritiene
secondario l’abuso di slogan a 140 caratteri per dimostrare che la testa può
ancora avere la meglio sulla pancia. A differenza della maggior parte dei
nostri politici, quelli olandesi sembrano avere una vita al di fuori del
virtuale, più attenti ai voti nelle urne che ai follower o ai like. A tenere
insieme le due dimensioni, a ben guardare, alla fine è proprio Wilders. In
testa nei sondaggi fino a poche settimane fa, è arrivato secondo, ma il suo
partito è cresciuto, mentre le sinistre, verdi escluse, sono crollate. Questa
sorta di franchising fascistoide internazionale che abbraccia Wilders. Trump,
Le Pen, Orban e Salvini (per citare i più noti), quando non sfonda come temuto
si afferma comunque più vitale, aggressivo e popolare che mai. “Make qualcosa
great again”, “prima gli italiani” (o gli olandesi, i bianchi, i ricchi, i
cattolici, il senso non cambia), “stop Islam”, ormai sono slogan talmente
popolari e abusati che la Siae potrebbe decidere di attribuirli vagamente ad
Autori Vari, categoria “folk contemporaneo” di questi tempi apparentemente
senza anticorpi. Pertanto, ogni Maiconsalvini,
al netto di violenze utili soprattutto a rinforzare l’immagine del leader
leghista in vista della prossima provocazione, è benvenuto. Se poi l’anticorpo
riuscisse a trovare rappresentanza politica e voce istituzionale là dove ormai
quasi tutto tace e appare metabolizzato in una incomprensibile e colpevole
rassegnazione al peggio, sarebbe cosa buona e giusta. Partendo dal principio
elementare che no, in Italia, in democrazia, essere fascista non si può più da
un po'.
Diego Bianchi – Il Sogno Di Zoro – Il Venerdì di La
Repubblica – 24 marzo 2017 -
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