“Troppi Ragazzi
Scrivono male in italiano, leggono poco e
faticano a esprimersi oralmente, servono interventi urgenti”. Recita così una
frase della lettera che più di 600 docenti universitari, accademici della
Crusca, storici, filosofi, sociologi ed economisti hanno inviato al governo e
al parlamento per denunciare il problema. Che vergogna e che schiaffo morale sentirsi
dire che commettiamo errori” appena tollerabili in terza elementare”! Facciamo
fatica a esprimerci, non leggiamo, non sappiamo riassumere un testo, e a
scrivere non siamo mai stati abituati. In molti pensano che saper scrivere sia
ormai inutile in un mondo in cui a contare non sono più le parole, ma le
immagini. Anche se è il linguaggio verbale che ci distingue dagli animali, e ci
rende idonei a elaborare un pensiero complesso ed esprimerlo a parole. Quindi
per favore, genitori, quando tornate a casa dal lavoro, non piazzatevi davanti
alla televisione, ma leggetevi un libro; per farci addormentare non dateci in
mano uno smartphone, ma raccontateci una storia. E voi maestrie professori non
adagiatevi sulla vostra cattedra, parlate con noi prima che di noi. Non pensate
che aggiornarsi voglia dire imparare a usare una lavagna multimediale, perché
sarà la passione che avrete per il vostro lavoro che cambierà la vita dei
vostri studenti, anche se continuerete a scrivere con il gesso. Marta Viazzoli atram16@libero.it
La sua lettera, che per ragione di spazio ho dovuto tagliare,
distribuisce le colpe dell’incompetenza linguistica dei nostri giovani ai
genitori che non hanno mai letto un libro, un racconto, una storia ai loro
figli, ai professori che senza passioni si ritengono soddisfatti quando
riescono a ottenere in classe un po' di disciplina, e ai politici che al
ministero che preside l’istruzione non hanno mai messo qualcuno che conoscesse
per davvero la scuola. Il risultato è che i nostri giovani possiedono un
vocabolario così ridotto da ricorrere a una sola parola, neppure troppo
eleganti, per esprimere la gamma di tutti i loro sentimenti. Dalla gioia al
dolore, dalla depressione all’euforia, dall’entusiasmo alla noia. Una sola
parola che si incarica di dire tutto. Ricordo che nel 1976 il linguista Tullio
De Mauro, di recente scomparso, aveva fatto una ricerca per vedere quante
parole conosceva un ginnasiale: il risultato fu circa 1.600. Ripetuto il
sondaggio venti anni dopo, il risultato fu che i ginnasiali del 1996
conoscevano dalle 6oo alle 700 parole. Oggi io penso che se la cavino con 300
parole, se non di meno. (..) Tutto ciò forse è dovuto al fatto che negli ultimi
trent’anni siamo passati a una fase dove le cose che sappiamo, dalle più
elementari a alle più complesse, non le dobbiamo necessariamente al fatto di
averle lette da qualche parte, ma le abbiamo solo viste in televisione, al
cinema, sullo schermo di un computer, oppure sentite dalla viva voce di
qualcuno, dalla radio o da un amplificatore inserito nelle nostre orecchie e
collegato a un walkman. A questo punto sorgono spontanee le domande: come la
trasformazione della tecnica modifica il nostro modo di pensare? E ancora:
quali forme di sapere stiamo perdendo per questo cambiamento? (..) È
l’intelligenza che usiamo per esempio quando guardiamo un quadro, dove è
impossibile dire che cosa vada guardato prima e cosa dopo. L’intelligenza
“sequenziale”, che usiamo per leggere, necessita invece di una successione
rigorosa che articola e analizza i codici grafici disposti in linea. Se leggo
“cane”, la forma grafica della parola e quella fonica non hanno niente a che
fare con il cane, e allora la visione dei codici alfabetici comporta un
esercizio della mente che la visione per immagini non richiede. Naturalmente
“guardare” è più facile che “leggere”, per cui l’homo sapiens, capace di decodificare segno ed elaborare concetti
astratti, è sul punto di essere soppiantato dall’homo videns, che non è portatore di un pensiero, ma fruitore di
immagini, non conseguente impoverimento del capire dovuto, come scrive Giovanni
Sartori in Homo videns. Televisione e post pensiero (Laterza). All’incremento
del consumo di tv e di internet. E, com’è noto, una moltitudine che “non
capisce” è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a
manipolare le folle.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 25 febbraio
2017 -
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