Mi Trovo Totalmente in disaccordo con Lei laddove scrive che quando la disciplina è un
problema “ciò è dovuto al fatto che il professore non è all’altezza del proprio
compito. Può darsi che a volte sia così, ma non lo è sempre, forse neanche
spesso. Le posso assicurare che il biennio iniziale per molte classi non è più
da considerarsi “scuola” nel senso tradizionale del termine, perché l’attività
preponderante non è più quella didattica, ma quella disciplinare: la priorità
dell’insegnante, una volta entrato in classe, è quella di ricostruire un
contesto ordinato e non rumoroso (silenzioso è pretendere troppo) in cui
tentare di avviare l’attività didattica. Prima degli insegnanti vengono i
genitori, per molti dei quali la scuola è diventata un parcheggio per figli
ingestibili. Questi adolescenti, presumibilmente abituati a fare quello che
vogliono in casa e a non essere contrastati, pretendono di fare altrettanto a
scuola. E se l’insegnante esasperato, dopo svariati richiami e ammonizioni,
irroga agli studenti disturbatori e/o villani una nota disciplinare, questi la
contestano dando la stura a una polemica surreale, nei toni e nei contenuti
spesso aggressiva, contro chi ha osato sanzionare il loro comportamento.
Quindi, a mio parere, il punto “competenza ed efficacia degli insegnanti”, pur
avendo una sua intrinseca rilevanza, è secondario a fronte di una massa
crescente di adolescenti irresponsabili, pigri e sbandati.
A Costo Di Annoiare le mie lettrici e i miei lettori
torno sul problema dell’istruzione dei nostri ragazzi, perché la questione è
troppo importante, non solo per loro, ma anche e soprattutto per il futuro del
nostro Paese. Lei distribuisce le colpe del mal andamento della nostra scuola
ai ragazzi, ai loro genitori e al ministero dell’Istruzione. I ragazzi li
abbiamo messi al mondo noi, e precisamente in un mondo dove quel che conta è il
successo, il denaro, l’affermazione di sé anche a scapito degli altri. La
scuola e la cultura che trasmette dovrebbero almeno prospettare altri valori
che relativizzino i primi, facendone apprezzare altri più significativi e
interessanti, capaci di gratificare il concetto che ciascuno di questi ragazzi
ha di sé. Se lei mi dice che: “In un istituto professionale l’attività
preponderante è quella di ricostruire un contesto ordinato e non rumoroso
(silenzioso è pretendere troppo) in cui tentare di avviare l’attività
didattica”. Mi lasci dire senza alcuna esitazione che la colpa è di quegli insegnanti
che non hanno un’adeguata personalità per stare in una classe o una capacità a
conquistarla sul piano emotivo. Di questi insegnanti del tutto inadeguati a
ricoprire il loro ruolo, non c’è studente che non abbia fatto esperienza. Per
quanto riguarda i genitori sono assolutamente convinto che devono essere
lasciati fuori dalla scuola, dopo essere stati malauguratamente introdotti negli
anni ’70 dei Decreti Delegato del ministro Franco Maria Malfatti, e negli anni
’90 ulteriormente legittimati e incoraggiati dal ministro Luigi Beringuer. La
ragione è molto semplice: i genitori non sono interessati tanto alla formazione
dei loro figli, quanto alla loro promozione. E perciò dalla scuola primaria
all’ultimo anno di scuola superiore fanno i sindacalisti dei figli, contestando
le decisioni prima delle maestre e poi dei professori tramite ricorsi al TAR
che, per il quieto vivere, finisce per dare ragione ai genitori. A sua volta
anche la scuola e i commissari degli esami di Stato, sempre per il quieto
vivere, finiscono per promuovere tutti, generando il sospetto, assolutamente
fondato, della loro inutilità. (..) Se poi consideriamo che il ministero
dell’Istruzione, come lei ricorda nella parte della sua lettera che per ragioni
di spazio ho dovuto tagliare, invita i dirigenti scolastici a promuovere più
studenti possibili per evitare l’abbandono scolastico, e i presidi a loro volta
invitano i professori ad analogo comportamento per dimostrare il “successo
formativo” del loro istituto, qui il cerchio si chiude. Ed è un brutto cerchio,
perché segna il trionfo dell’ignoranza, mascherata da diplomi che, alla prova
dei fatti, quando ad esempio si scrive un curriculum, mostrano senza inganno la
loro falsità. Se a tutto ciò aggiungiamo che i nostri ragazzi avranno come competitori,
non i primi della loro classe come un tempo, ma i loro coetanei cinesi e
indiani, ci dobbiamo meravigliare se l’Italia e con lei l’Europa, e a guardar
bene l’intero Occidente, stanno declinando?
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di La Repubblica – 4 marzo 2017 -
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