Non sembrerebbe, dal livore che invade i social, ma
l’Italia resta una Repubblica fondata sul buon cuore, sull’aiuto che le persone
vicendevolmente decidono di darsi. L’Italia è una Repubblica fondata sul
finanziamento privato ad ambiti di pubblico interesse. Non sarebbe certo da
scriverci su, se il finanziamento privato arrivasse a sostenere e a completare
quello pubblico. Ma ci sono ambiti cruciali per il nostro Paese in cui gli
unici finanziamenti degni di nota sono quelli provenienti da privati e i fondi
pubblici sono, potremmo dire, non pervenuti. Uno di questi ambiti,
sorprendentemente, è proprio la ricerca sul cancro. Ogni giorno in Italia si
scoprono quasi 1.000 casi di cancro e le nuove diagnosi di tumore, nel corso
dell’anno, si stimano intorno alle 363.000: 194.400 (54%) fra gli uomini e
168.900 fra le donne. Non proprio una minoranza e lo sottolineo perché spesso
siamo portati a credere che la mancanza di fondi riguardi solo ambiti di minor
interesse collettivo, dove il disinteresse dello Stato è grave, ma proviamo a
giustificarlo pensando alla crisi e ai tagli che giocoforza devono investire il
settore pubblico e che quindi colpiscono quelle fasce meno protette, proprio
perché fortemente minoritarie. Malattie rare, forme di disabilità in cui il
pubblico ci racconta di difficoltà insormontabili nel far fronte all’obbligo di
frequenza scolastica. Magari parliamo di ingiustizie e di iniquità credendo che
laddove insistono numeri maggiori, il coinvolgimento del pubblico debba essere
per forza di cose più cospicuo. Stupisce quindi notare come, a dispetto dei
numeri, il pubblico si permette il lusso di tagliere i fondi, di non investire,
anche laddove è totalmente ingiustificato che questo avvenga. I Prin, ovvero
i Programmi di rilevante interesse nazionale, che dovrebbero essere i
finanziatori primi della ricerca scientifica nel nostro Paese, nel 2015 avevano
stanziato 32 milioni di euro per vari ambiti disciplinari mentre, nello stesso
anno, l’Airc ha stanziato 104 milioni solo per la ricerca sul cancro. Questa
sproporzione dà un’idea precisa di cosa sarebbe la ricerca italiana senza i
finanziatori privati, di cosa sarebbe la ricerca per un ambito nel quale il
pubblico dovrebbe necessariamente investire moltissimo. Scoprire dunque che
alla ricerca sul cancro, se non esistesse l’Airc, in Italia il pubblico avrebbe
ben poco da offrire, è una evidenza che lascia senza parole. E se questa
notizia restituisce un balzano senso di equità perché, con una buona dose di
cinismo, tocca ammettere che lo Stato nel quale viviamo non fa preferenze di
sorta ed è patrigno con tutti, dall’altro risulta difficile comprendere come si
possa lavorare e fare ricerca se lo Stato non investe. (..). Dall’altro lato, ormai sono anni che avviene una sorta di piccolo miracolo che porta
l’Airc, sostenuta da oltre 4 milioni di italiani a stanziare per la ricerca sul
cancro. Gli ultimi dati parlano di 602 progetti di ricerca e 78 borse di studio
finanziati. 5.000 ricercatori lavoreranno nelle università, negli ospedali
pubblici e negli istituti di ricerca. Di questi il 63% sono donne e il 52% sono
ricercatori che hanno meno di 40 anni. I progetti finanziati sono stati
selezionati attraverso un processo di valutazione rigido fatto da circa 500
revisori in parte stranieri. Sono state poi finanziate diverse startup di
giovanissimi ricercatori che hanno deciso di rientrare dall’estero e di iniziare
attività laboratoriale in Italia. Quindi possiamo dire, a ragion veduta, che i
progressi che negli ultimi anni ha fatto la ricerca sul cancro in Italia, li
deve all’attività di raccolta fondo di iniziativa privata. L’Airc ha fatto nel
nostro Paese molto più di quanto abbiano fatto i Ministeri dell’Istruzione e
della Salute insieme. E a fronte di tutto questo, anche un solo centesimo di
euro speso per quelle ignobili campagne sul Fertily day sono ancora più
intollerabili. Dove non si trovano i fondi per la ricerca scientifica, che
equivale a progresso e a condizioni di vita migliori, corre l’obbligo di
gestire in maniera oculata anche una banconota da cento euro.
Roberto Saviano – L’antitaliano – L’Espresso – 12 marzo
2017 -
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