Il selfie ha radici antiche,
addirittura ne 1400, secolo in cui – grazie agli specchi rivestiti di vetro e
amalgama di stagno e mercurio realizzati in Germania – i pittori poterono, per
la prima volta, vedersi in maniera molto fedele e quindi far nascere
l’autoritratto. Una forma espressiva che, ci dice oggi la psicologia,
attraverso i secoli e le tecnologie – della tela al dagherrotipo di Robert
Cornelius nel 1839, primo “selfie” storico, allo smarthphone odierno – non ha
mutato la sua ragion d’essere e i suoi motivi profondi. È la tesi di
Claus-Christian Carbon, docente di psicologia all’Università di Bamberg
(Germania) nello studio Universal
principles of depicting oneself across the centuries fron Reinassance
self-portrats to selfie-photographs (principi universali del ritrarre sé
stessi attraverso i secoli: dagli autoritratti del Rinascimento ai selfie)
pubblicato su Frontiers in Psychology. “Pensiamo all’Autoritratto con pelliccia
dipinto nel 1500 da lbrecht Dürer, dove il pittore si ritrae nella posizione
frontale e nell’atteggiamento ieratico delle raffigurazioni di Cristo, mentre
indossa un lussuoso manto, siglando il dipinto con A.D. 1500, che significa sia
Albrecht Dürer che Anno Domini”, spiega Carbon. “Dürer vuole trasmette l’idea
dell’artista come forza creatrice, quasi divina: lo fa mescolando la realtà del
suo aspetto con l’immaginazione. Lo spirito dell’operazione, trasmettere a chi
guarda non solo un’immagine ma un’essenza, è tipico anche dei selfie, odierni e
delle pagine Instagram” Il principio comune è quindi comunicare agli altri lo
stato interiore dell’autore e la sua importanza: “Sia gli autoritratti dei
pittori che i selfie sono, evidentemente non commissionati. (..). Da questo
punto di vista il selfie ha un grado di insincerità in più: “C’è una pretesa di
naturalezza, di oggettività dell’obiettivo fotografico. Chi ci mostra un selfie
vuole farci credere che la foto sia stata scattata senza pianificazione, quando
una certa situazione è emersa spontaneamente: molte delle situazioni ritratte
esistono invece solo in funzione del selfie che si scatta” osserva Carbon. “E,
anche in assenza degli artifici della pittura, i selfisti mettono in atto vari
trucchi per falsare la loro immagine: per esempio, usano inquadrature dall’alto
per apparire più snelli”. Secondo l’analisi di Carbon, volersi mostrare agli
altri come esseri unici e invidiabili non è però l’unico motivo per
autoritratti e selfie: un’altra funzione chiave è quella di documentare una
performance. “Un esempio sono i selfie mentre si fa sport o quelli più
spericolati in cima ad antenne o torri o sui cornicioni” spiega Carbon.
“L’analogo in pittura sono quadri come l’Autoritratto
al cavalletto di Van Gogh o Las
Meninas (le damigelle d’onore), dove Diego Velázquez ritrae sé stesso
nell’atto di dipingere la corte dell’infanta Margherita. Oppure le tele dove
l’artista britannico Robert Pepperell ritrae in soggettiva l’interno di una
stanza, includendo le sue gambe e i suoi piedi in perfetto stile selfie”.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 10
marzo 2017 -
Nessun commento:
Posta un commento