L’ambizione è riuscita a migliorare il
mondo, combattendo la fame, le malattie e le violenze. Partendo dalle statistiche
e dai milioni di dati che ogni giorno si producono in maniera spontanea:
spostamenti, collegamenti telefonici, voli, ricerche sul web, tweet e post su
facebook. Elementi che, se messi a sistema e letti nel modo giusto, creano una
sorta di sfera di cristallo: possono infatti dire in anticipo ciò che accadrà e
permettere a chi deve intervenire di fare la scelta giusta. È un tentativo che
ora si farà, per esempio, con il campo ospita più di 300 mila persone, il
governo del Kenya ha deciso di chiuderlo e l’Unicef vuole capire per tempo
quali saranno i flussi dei profughi somali in uscita, per decidere dove
sistemare risorse e aiuti. Per aprire questa finestra sul futuro di Dadab,
l’Unicef si è rivolta alla Fondazione Isi, l’Istituto di interscambio scientifico
fondato 34 anni fa a Torino da Mario Rasetti e Tullio Regge, fisico e
matematico scomparso tre anni fa. La fondazione opera nella scienza dei big data e dei sistemi complessi: 60
ricercatori, tra la sede di Torino e New York. “Ogni giorno nel mondo si
producono 2,5 milioni di terabyte di dati. In un anno, è come se venisse
scritto 400 miliardi di volte Guerra e
pace” dice Rasetti, professore emerito di Fisica teorica al Politecnico e
presidente della Fondazione. “Noi prendiamo i dati e costruiamo algoritmi che
li “puliscano” in modo da estrarre informazioni e produrre sapere. Altri
algoritmi sono stati Dodici anni fa, l’Isi è riuscito così a predire il picco
dell’epidemia della suina con quattro mesi di anticipo. Altri algoritmi sono
stati usati per Ebola, Zika e le più comuni influenze: in questo modo l’Isi è
diventata un riferimento per l’Organizzazione mondiale della sanità. Un
esempio: “Quante volte compare la parola sciroppo o influenza su Facebook può
indicare una tendenza”spiega Ciro Cattuto, direttore scientifico della
fondazione, “e di lì si può partire per creare rappresentazioni virtuali e
simulare interventi”. Lo stesso approccio sarà utilizzato, appunto, nella
collaborazione con l’Unicef e il laboratorio GovLab della New York University per
il campo profughi Dadaab in Kenya. Sempre in Kenya la Fondazione collabora poi
da anni con il Kemri Wellcome Trust di Kilifi, istituto di ricerca medica che
ha lo scopo di migliorare il sistema sanitario africano. Il team di Isi ha
sviluppato un sistema di raccolta dati, ribattezzato Sociopatterns, che grazie
a sensori inossidabili a radiofrequenza traccia i contatti faccia a faccia
delle persone. “Oggi i volontari che usano il dispositivo sono mille” racconta
Cattuto, “grazie a loro studiano le dinamiche sociali e le possibilità di
contagio delle malattie infettive”. Un altro progetto appena partito coinvolge
l’Onu e l’Universidad del Desarrollo a Santiago in Cile per capire la mobilità
di donne e bambini in Sud America e prevenire incidenti e violenza per strada,
prima causa di morte fra i 5 e i 14 anni. “Un operatore telefonico ci permette
di seguire gli spostamenti di un campione di clienti. Così studiamo la
differenza degli spostamenti fra uomini, donne e bambini in relazione alla sicurezza,
criminalità e trasporto pubblico”.
Diego Longhin – Scienze –Il Venerdì di La Repubblica – 24
marzo 2017 -
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