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sabato 11 marzo 2017

Lo Sapevate Che: Proust e il quadro più bello del mondo...



Ho Fatto Invano quattro ore di coda nel Louvre per rivedere il “più bel quadro del mondo”. La malaticcia luce del febbraio parigino filtrava dalla piramide, voluta da Mitterrand e disegnata dall’architetto Pei, e illuminava il nome stampato e grandi lettere all’ingresso della galleria dedicata alle mostre: VERMEER. La folla dei visitatori era densa, impaziente come quella dei grandi magazzini Lafayette nei giorni di liquidazione. L’attrazione esercitata dal nome del pittore olandese prosciugava in quelle ore la clientela dei negozi sulle vicine rive della Senna. I suoi quadri banalizzavano la loro eleganza. Il loro lusso. Nella galleria immersa in una penombra rispettosa delle opere esposte ho cercato invano la “Veduta di Delft”, appunto “il più bel quadro del mondo”. Non c’era e non ci doveva essere. Non avevo letto con attenzione il sottotitolo, pur ben visibile, sul manifesto che precisava “VERMEER e i maestri della pittura di genere”, cioè dei tratti della vita quotidiana. La “Veduta di Delft” era dunque esclusa, non era la sua mostra. Era rimasta all’Aia. La carezza di Vermeer la sentivi lo stesso. L’artista che trasforma “le occupazioni più ordinarie in riti miracolosi” era presente con dodici quadri (sui trentasette aggiudicatigli finora). L’epoca d’oro olandese, esplosa nel Seicento, finita la presenza spagnola, in questi giorni è testimoniata con una sintesi intelligente sulle pareti del Louvre. Se il più anziano Rembrandt è l’anima severa della pittura di quel tempo, Vermeer è l’esatto contrario: è la quiete, la vita quotidiana alla quale sa dare un valore destinato a essere eterno. Le Sue Opere sono accompagnate da almeno una sessantina di pittori della stessa epoca: Gerard Dou, Gerad er Borch, Jan Steen, ieter de Hooch, Gabriel Metsu…tutti impegnati a dipingere le figure umane più comuni accanto a stoffe, tappeti, fili di seta, lasciati in un naturale disordine. (..). Ma La Visita alla mostra è stata in fondo un appuntamento mancato. Ritrovare a Parigi la “Veduta di Delft”, tante volte vista all’Aia, sarebbe equivalso a un ingenuo omaggio alla presenza di Marcel Proust davanti al quadro che riteneva “il più bello del mondo”. Nella primavera del 1921 lo scrittore aveva letto che al jeu de Paume c’era una mostra di Vermeer. Chiese a un amico di accompagnarlo. Era malandato di salute e non usciva volentieri di casa. Sarebbe morto un anno dopo. Proust conosceva benissimo il pittore olandese e, stando ai biografi, aveva già immaginato Bergotte, uno dei grandi personaggi del suo romanzo, davanti alla “Veduta di Delft”. (..). Ricordare gli episodi della Recherche è un vizio di vecchi lettori, simile a quello dei vecchi combattenti. Può far sorridere, ma è difficile evitarlo, quando se ne presenta l’occasione. In Bergotte si tende a riconoscere Anatole France, ma forse nel personaggio sono riassunti altri scrittori, compreso lo stesso Proust. Bergotte è affascinato dal “petit pan de mur jaune”, dalla “piccola ala di muro giallo”. Si trova, rettangolare, a destra del dipinto, ed è luminosa tra i tetti di ardesia verde blu. Bergotte pensa che avrebbe dovuto scrivere così: dando numerose pennellate di colore per rendere le frasi dei suoi romanzi preziose come quello scorcio di muro giallo. Pochi secondi dopo si accascia morto sul divano. Senonché, come molti altri, ho constatato al Mauritshuis dell’Aia che quel muro giallo non è in realtà né un muro né giallo. E’ un tetto rosa, con sopra una finestra ad abbaino. La libertà di vedere in Vermeer quel che si vuole è sacrosanta.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori – L’Espresso – 5 marzo -2017 -

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