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mercoledì 22 marzo 2017

Lo Sapevate Che: La politica? Si fa un tacco dopo l'altro...



La Democrazia, ce lo sentiamo ripetere vivendo fortunatamente in una nazione dell’Europa Occidentale, si esprime nel voto dei cittadini, ma ci sono altri modi, non previsti da Costituzioni e Leggi, per votare, e l’America di questo tormentato inizio della Presidenza Trump lo sta vivendo. E’ il voto di plastica. Il voto con la carta di credito. Fra i trumpisti e gli antitrumpisti, è scoppiata la guerra dello shopping. Non potendo più votare, i consumatori e soprattutto le consumatrici, che frequentano i centri commerciali due volte più spesso dei maschi, esprimono la loro approvazione o disapprovazione scegliendo di sguainare i loro rettangoli di plastica nei grandi magazzini che giudicano ostili o favorevoli a Trump. La guerra della plastica è cominciata quando, prima il Capo stesso e poi una delle sue coriste, Kellyanne Conway, hanno pubblicamente attaccato la catena Nordstrom per avere escluso la linea di prodotti firmati da Ivanka, la cocca del Capo. Nordstrom spiegò che scarpe, indumenti, prodotti di bellezza di Ivanka semplicemente non si vendevano più da quando il suo nome si era caricato di significati politici. E immediatamente, le vendite e il titolo in Borsa erano saliti, spinti dal “voto” degli anti Trump. Ma negli stessi giorni, un’altra catena celebre, Neiman Marcus, ha assistito a una piccola processione di clienti che riportavano ai manager le loro carte di credito, indignate per la decisione simile a quella di Nordstrom. Dalle rarefatte atmosfere del lusso, il boicottaggio della merce firmata Trump è sceso a grandi magazzini più popolari, Sears, T.J. Maxx, Kmart, dove i E mio carissimo amico, indignato per le atrocità americane in Vietnam, decise di punire la Exxon non facendo più benzina la Cinquecento nei suoi distributori. Il danno economico al gigante dei carburanti si aggirò attorno alle mille lire alla settimana. Exxon sopravvisse. Ma il partito delle carte di credito si sta organizzando. Si è dato un nome, “Grab Your Wallet”, afferrate il vostro portafoglio, ispirato dalla frase tristemente famosa dell’allora grab, afferrare impunemente ogni donna per le parti intime, essendo lui un vip. All’inizio, le elettrici anti Trump avevano stravinto. Le vendite della mercanzia marcata Icanka – e fabbricata in Cina mentre papà invitava a comperare solo il Made in America – erano crollate del 70%. Ma al gioco della polarizzazione, della divisione ringhiosa, si gioca in due e nelle ultime settimane il partito di Ivanka ha ripreso consenso. Il profumo Eau de Ivankà (accento sulla seconda “a”) 30 dollari al flacone, è schizzato in testa alle vendite online di amazon.com. Negli stati americani più fervidamente repubblicani, non soltanto l’Eau de Trump, ma anche le sue scarpe sono improvvisamente richiestissime. Una signora del Kentucky, che ha tanta passione politica quanti soldi da spendere, ne ha acquistate per tremila e cinquecento dollari. Molti clienti trovano ingiusto che gli affari di Ivanka debbano essere penalizzati perché il padre è presidente, al polo opposto di coloro che trovano insopportabile che un presidente faccia pubblicità ai prodotti della figlia, che si vendono in concorrenza con altri che la pubblicità si devono pagare. Con la sperabile ritorno alla calma e alla ragionevolezza dei campi opposti, anche questa battaglia politica a colpi di flaconi di colonia e di tacchi a spillo è destinata a placarsi. Le scarpe dei padri non devono ricadere sulle figlie.
Vittorio Zucconi – Opinioni – Donna di La Repubblica – 11 marzo 2017 -

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