Quando Cala Il Sipario e irrompe il boato degli applausi, ti
sembra che siano gli esseri più felici al mondo: direttori d’orchestra,
musicisti, cantanti. Abbracciati dall’affetto del pubblico, supplicati perché
diano un bis, inseguiti da fan che chiedono autografi. Io li ho nel cuore,
perché il piacere della musica è una delle cose più preziose della natura
umana, un rifugio e una consolazione, ci innalza dalle miserie terrene, ci
consola e ci migliora. Ma quanta delusione, quanta sofferenza c’è nella vita
vera, di quei grandi artisti che andiamo ad ascoltare alla Carnegie Hall o al
Metropolitan Opera. E non parlo solo della durezza del tirocinio, della
disciplina severa fin dall’infanzia, dal rigore estremo degli studi. Ci sono
cantanti lirici che hanno un marito o una moglie artisti pure loro ma
dall’altra parte del globo, in tournée parallele che non s’incrociano mai. C’è il
soprano celeberrima che quando cala il sipario corre ad affrontare due
emergenze familiari: il figlio solo a casa e la madre vedova in preda a una
depressione acuta. Uno squarcio di queste vite lo conosco attraverso due amici
che appartengono a quel mondo, Nicola e Rita Luisotti. Un regalo del destino ci
ha ricongiunti qui a New York. Il maestro Luisotti, nato in Toscana non lontano
dalla terra di Puccini, è stato per molti anni il direttore musicale permanente
dell’Opera di San Francisco, là avevano stretto amicizia. Adesso è talmente
corteggiato dal Metropolitan Opera di New York, che il suo centro di gravità si
sta spostando qui. Sta dirigendo una Traviata
sublime, subito dopo il Met gli ha affidato un susseguirsi di altre opere
per tre anni. Così mia moglie e io abbiamo ritrovato Nicola e Rita, compagni di
tante serate californiane. Loro sono privilegiati dal punto di vista degli
affetti: Rita segue Nicola, ha rinunciato a una sua carriera professionale,
girovagando per il mondo almeno sono in coppia. Ma attorno a loro, vedono una
solitudine estrema. I cantanti lirici, quando non sono in scena, spesso passano
le serate da soli. I loro colleghi operistici sono amicizie occasionali, oggi
lavorano insieme in una Bohème o in una Turandot, fra tre settimane uno parte
per Tokyo, l’altro per Vienna e chissà quando si rivedranno. I compagni di
vita, mariti e mogli, raramente possono fare da accompagnatori in questo
nomadismo permanente. Al confronto perfino Stefania e io, coi nostri dieci
traslochi in trent’anni siamo sedentari. Strana vita, per queste star. Da un
lato è prevedibile su tempi lunghissimi. Un grande direttore d’orchestra,
pianista e violinista, tenore o soprano di fama mondiale, firma oggi contratti
per il 2022. Lo prenotano con cinque anni di anticipo. D’altra parte però
un’annata della vita può suddividersi in dieci città diverse, saltando da
un’opera a New York a un concerto a Londra, da un ingaggio in Estremo Oriente
ad uno in America latina. Il concetto di “casa” è relativo. I Luisotti ne
cercano una a New York perché è la loro base semi-permanente: il che significa,
viso il mestiere di lui, che ci staranno tre o quattro mesi all’anno. Nicola è
a un livello nella sua carriera che può permettersi di scegliere: privilegia le
direzioni d’opera, perché gli piace ma anche perché una Traviata al Met va in scena molte sere, più le prove, insomma è un
impegno di tante settimane. I concerti di musica sinfonica, invece, di solito
sono in cartellone per una sola serata. Significa che direttore e solisti
rifanno le valigie il giorno dopo. Alberghi, aeroporti, alberghi, aeroporti. Ci
vuole tanto amore per Mozart e Chopin, Verdi e Debussy, per affrontare
sacrifici che noi comuni mortali immaginiamo a stento.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 11
marzo 2017
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