Centrale Nella Sua riflessione è l tema della tecnica.
Quello che, molti sinteticamente, non riesco a capire è: si può parlare di un
inizio dell’età della tecnica? Esso coincide con la Rivoluzione industriale? O
invece la tecnica pervadeva il mondo già da prima? Esso coincide con la
Rivoluzione industriale? O invece la tecnica pervadeva il mondo già da prima?
Ad esempio: non era L’Impero Romano un gigantesco apparato tecnico? Non era
autoreferenziale e con il solo obiettivo di espandere o consolidare se stesso?
Ho cercato approfondimenti sul tema della differenza tra Tecnica Modera e
Tecnica Antica (e se tale distinzione è valida, dove avviene la
“trasformazione”?), ma senza successo: se lei avesse dei riferimenti più
precisi, gliene sarei grato. Andrea Galasso
andrea17galasso@.com
La “Tecnica” Non è l’insieme degli strumenti
(dall’automobile al telefonino, dal frigorifero al computer) di cui ci
serviamo. Questa è piuttosto “tecnologia”. La tecnica è quel tipo di
razionalità che prevede che sia “razionale” solo e unicamente raggiungere il
massimo degli scopi con l’impegno minimo dei mezzi. Un telefonino di ultima
generazione di piccole dimensioni che compie molte funzioni è molto più
razionale di un telefonino di prima generazione di grandi dimensioni che
compiva una sola funzione. Se questo tipo di razionalità, che i filosofi della
Scuola di Francoforte chiamavano “Razionalità strumentale” dovesse diventare,
come sta diventando l’unica forma di razionalità vigente, dove va a finire
l’uomo che, oltre alla razionalità, ospita grandi manifestazioni irrazionali
come l’amore, l’amicizia, il dolore, la gioia, la poesia, la conversazione non
funzionale, la contemplazione disinteressata e tante altre forme che è bello
vivere anche se non sono strettamente razionali? Un incontro d’amore, dal punto
di vista razionale potrebbe esaurirsi in un semplice “ti amo”, tutto il resto è
sovrabbondanza linguistica: perdita di tempo e spreco linguistico. Non è un
caso che dal punto di vista della tecnica burocratica, i nostri nomi e cognomi
sono diventati numeri della carta di identità, del codice fiscale, della
tessera sanitaria, perché il numero è molto più preciso della parola. Il
secondo inconveniente dell’egemonia della razionalità tecnica è che chiunque di
noi viene considerato a partire unicamente dai criteri di efficienza e di
produttività. Ciò significa: realizzare gli obiettivi assegnati dall’apparato
di appartenenza nel minor tempo possibile, senza che tu possa dir parola sul
contenuto di questi compiti assegnati.(..). Interrogato da Günther
Anders
su cosa avesse provato nello sganciare la bomba su Hiroshima, l’aviatore ha
risposto: “Niente, era il mio lavoro”. Per la razionalità tecnica non rientra
nella sua competenza, e quindi nella tua responsabilità, la qualità del tuo
lavoro, ma semplicemente la modalità più o meno efficiente con cui lo svolgi.
Quando i generali nazisti rispondevano ai giudici che chiedevano conto dei loro
crimini: “Ma io ho ubbidito agli ordini”,, questa, dal punto di vista della
razionalità tecnica, era una risposta corretta, perché, per questo tipo di
razionalità, la tua responsabilità è solo nei confronti del superiore e non nel
contenuto e nelle conseguenze della tua azione. Per convincersene basta
presentarsi a uno sportello e fare una domanda che, a parere dell’impiegato,
fuoriesce dal suo mansionario. L’immancabile risposta è: “ Non è di mia
competenza”. Tradotto: io rispondo solo del compito che mi è stato assegnato,
la mia responsabilità finisce qui. E qui finisce anche la storia dell’uomo come
l’abbiamo conosciuto, se la razionalità tecnica diventa l’unica forma
riconosciuta di razionalità, come sta accadendo sempre più pervasivamente in
tutte le pratiche di vita. Esaurito lo spazio, una risposta alle altre sue
domande le può trovare, se mi perdona l’autocitazione, in un mio libro: Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica
(Feltrinelli).
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 11 marzo 2017 -
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