Ci sono tradizioni che fanno storcere
il naso a chi ama gli animali: una riguarda le pulcinelle di mare. In Islanda,
che con la Norvegia ospita l’80 per cento della popolazione europea di questi uccelli,
le pulcinelle vengono cacciate e mangiate fin dagli albori della storia. In
origine la caccia era una questione di sopravvivenza, oggi significa
soprattutto onorare una tradizione millenaria. Ma qualcosa potrebbe cambiare, e
non perché gli islandesi abbiano improvvisamente deciso di rinnegare il
passato. Le pulcinelle di mare (Fratercula
arctica) sono in pericolo: nei prossimi cinquant’anni si stima una
riduzione della popolazione europea del 50-80 per cento e questa previsione ha
spinto l’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn) a inserire la
specie tra quelle vulnerabili. Questi uccelli dal becco arancione (un carattere
sessuale, più è colorato più attira il partner) vivono nell’Atlantico
settentrionale, immergendosi sott’acqua (anche per un minuto) per catturare i
pesci. D’inverno si disperdono in mare, dove si riposano galleggiando, mentre
nei mesi estivi colonizzano le coste per riprodursi e deporre le uova che
vengono nascoste tra le rocce al riparo dai predatori. È proprio in estate che
Erpur Snaer Hansen, direttore del South Iceland Nature Research Centre e
massimo esperto di pulcinelle di mare, si arrampica sulle scogliere per
raccogliere dati: “Nel 2002 si contavano circa 7,7 milioni di esemplari, oggi
il numero è sceso a 3,2 milioni” dice. Le cause del declino sono molteplici,
dalla caccia per mano dell’uomo all’introduzione in Islanda di predatori
stranieri come il visone americano, che ha trovato nelle pulcinelle il suo
obiettivo ideale. Ma il problema principale è il riscaldamento dell’Atlantico
settentrionale, soprattutto in corrispondenza delle coste, dove dal 1996 il
termometro ha fatto registrare un più 1-2°C. “L’aumento della temperatura delle
acque sta alterando la catena alimentare, compromettendo la sopravvivenza dei
pesci di cui le pulcinelle si nutrono, soprattutto le anguille della sabbia (Ammodtes marinus) e i capelani (Mallotus villosus). Non c’è abbastanza
cibo per allevare i piccoli, e viene a mancare quel ricambio generazionale che
mantiene costante la popolazione. La scorsa estate, quasi tutti i pulcini nati
nelle meridionali Isole Westman sono morti di fame”. Se raffreddare il Pianeta
non sarà facile, frenare la caccia è un obiettivo possibile. Prima del
collasso, le pulcinelle erano la specie più cacciata in Islanda, con circa
200-250 mila esemplari uccisi ogni anno. Adesso, anche grazie al nostro lavoro
di sensibilizzazione, in molte municipalità si stanno introducendo regole più
stringenti, tanto che dal 2008 il numero di abbattimenti annuali si è ridotto a
circa 30 mila. Lo stop alla caccia è un’azione chiave per rallentare il declino
di questa specie. Con buona pace degli islandesi che ogni anno, in occasione
della lundaveioar (caccia estiva alle
pulcinelle), si recano sull’Isola di Grimsey, ultimo avamposto settentrionale
dell’Islanda. Muniti di reti, i cacciatori si appostano sulle scogliere e
aspettano il momento giusto per catturare le pulcinelle. “E’ una tradizione che
viene tramandata di generazione in generazione, di padre in figlio. La caccia
alle pulcinelle è parte dell’eredità culturale dei Paesi nordici” spiega
Carsten Egevang, biologo dell’Istituto groenlandese per le risorse naturali e
coordinatore dei Seabird Harvest, progetto sulle tradizioni dei popoli del Nord
Atlantico legate alla caccia degli uccelli marini. “La situazione è complessa.
Da una parte i locali sono consapevoli del declino delle pulcinelle e sono
disposti a fare la loro parte per salvarle, tanto che in molte parti
dell’Islanda hanno accettato lo stop o la riduzione della caccia: per esempio
nelle isole Westman oggi è permessa solo tre gorni all’anno. Dall’altra, però,
non vogliono rinunciare alle loro tradizioni, compresa quella di raccogliere
dalla natura ciò di cui hanno bisogno per vivere”.
Martina Saporiti – Animali – Il Venerdì di La Repubblica – 10
marzo 2017
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