Fermiamoci Finché Siamo
In Tempo. Il
ritornello ha stancato. Il populismo, trumpismo, lepenismo, grillismo,
salvinismo è ormai la scusa ufficiale della politica in crisi. Il capro
espiatorio. L’orco nero che viene di notte. Come se fosse uscito dal nulla.
Vogliamo dirci che è troppo comodo? Vogliamo provare a guardare dentro i
fenomeni autoritari, da Trump a Putin, da Erdogan alle destre xenofobe che si
contendono l’Europa? Se lo facciamo appare chiaro che la risposta “è colpa del
populismo” è banale. Anzi, lei sì populista. I Sintomi Ci Sono Tutti. Su questo numero dell’Espresso
abbiamo intervistato Valéry Giscard d’Estaing. Federalista ed europeista
convinto, è stato presidente della Repubblica francese e presidente della
Convenzione europea. Forse l’uomo che più di tutti ha creduto che quel progetto
economico potesse mutare in qualcosa di politico e potesse avere un futuro. Non
è certo un populista. Forse è l’opposto esatto di ciò che oggi definiamo,
erroneamente, con questo termine. Eppure le sue parole sono durissime. Lucide e
senza sfumature. L’Unione Europea, come l’abbiamo costruita, come è diventata,
non piace. Non funziona. Sta fallendo. Anzi morendo. Al punto che è lui, il
padre spirituale di quella Convenzione che fallì per il no di Francia e Olanda,
a proporre di ricominciare. Da un’aggregazione politica più piccola e più
coesa. Culturalmente ed economicamente. Significa ammettere di avere sbagliato.
Per rimediare, serve stringere alleanze fra grandi Paesi e fra grandi famiglie
politiche. E, con un progetto concreto, proporre ai popoli impoveriti e delusi
una deviazione netta del viaggio. Invece a cosa assistiamo? In Italia più che
mai, alla frantumazione dei partiti in correnti, alle scissioni di comodo, alle
scissioni di partiti già scissi, fino alla moltiplicazione delle sigle e dei
simboli in un caravanserraglio elettorale che è la cosa più lontana dalla richiesta
dei cittadini e, soprattutto, è il cibo preferito del populismo che vorremmo
ferire o sconfiggere. Noi ce ne stiamo qui a brontolare, a dire che Trump è un
pazzo, a ripeterci che abbiamo ragione e chi vota per loro è solo un ignorante
o un folle, e mentre lo diciamo sotto l’ombrello di un sistema proporzionale
fuori dal tempo, il Palazzo pensa di fregare il popolo con qualche piroetta
elettorale o qualche ghirigoro sulla scheda. È convinto di dominare con
giochetti da Prima repubblica la grande sfida della democrazia, la crisi dei
valori che sembravano immutabili, l’avvento dell’autoritarismo che conquista
chi non ha più nulla da perdere. Se non ci fermiamo in tempo perderemo. Perché
stiamo facendo proprio quello che, là fuori, chiamano “interessi delle élite”.
Mentre dovremmo fare quelli del popolo.
Tommaso Cerno – Editoriale – L’Espresso – 19 marzo 2017 -
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