Il grande Molière redivivo non avrebbe dubbi su dove
riambientare oggi il suo celebre “Tartufo”. Sicuramente a Bruxelles e con
Jean-Claude Junker protagonista senza rivali. Fin dalle sue prime mosse,
infatti, il neopresidente della Commissione europea si sta rivelando un
campione assoluto di quella miscela fra bigottismo e ipocrisia che il
drammaturgo francese metteva ferocemente alla berlina nell’Europa di quattro
secoli fa. Azzoppato fin dall’esordio per lo scandalo dei gravi abusi fiscali
compiuti dal suo Lussemburgo a danno degli altri soci dell’Unione (..), lo
scaltro Junker sta cercando di salvarsi facendo fumo attorno a se stesso e alla
sua politica come le navi colpite ma non affondate. Si tratta però di tentativi
così disperati che denunciano da soli l’inconsistenza ingannevole dei suoi
propositi. E’ questo il caso clamoroso del tanto propagandato pino
d’investimenti da 300 miliardi per il rilancio della crescita. Già prendendo
per buona simile cifra ci sarebbe da obiettare che essa risulta molto lontana
dall’entità che sarebbe necessaria per dare un efficace choc positivo a
un’economia continentale da troppi anni depressa. Per avere una misura delle
grandezze utili, basta ricordare che l’associazione degli industriali europei
stima che per rimettere davvero in moto il sistema bisognerebbe mettere in
campo un migliaio di miliardi. Oltre tre volte, dunque, il piano Junker e in
tempi più rapidi. Ma C’è Ben Di Peggio. Chi si sia preso la briga di andare
oltre la nebulosa cortina degli impegni proclamati da presidente della Commissione ha scoperto
che il suo fumo non nasconde arrosto: i 300 miliardi, in realtà, non ci sono.
Nel migliore dei casi restano un’ipotesi poiché questa sarebbe la luminosa idea
di Junker: mettere sul piatto circa 16 miliardi ricavati da residui o tolti da
vari capitoli del bilancio comunitario che, sommati ad altri 5 messi a
disposizione dalla Bei (Banca europea degli investimenti), darebbero una dote
di 21 miliardi. E qui scatta una simulazione che farebbe impallidire d’invidia
anche gli inventori napoletani della banconota da 300 euro. Secondo i calcoli
di Bruxelles, infatti, quei 21 miliardi iniziali, per mezzo di una leva
finanziaria da 1 a 15 sui capitali privati, saranno in grado di mobilitare
investimenti non più per 300 ma – oplà – addirittura per 315 miliardi. Qualche
critico puntiglioso ha ricordato che un moltiplicatore da 1 a 15 non lo si è
visto all’opera neppure ai tempi della più allegra turbo finanza. Molto più
francamente occorre notare che simili acrobazie aritmetiche denotano qualcosa
di peggio di una maldestra manipolazione contabile. Esse, infatti, non riescono
a nascondere la sottintesa scommessa di riuscire a prendere un po’ per scemi
tutti gli interlocutori europei, dai governi nazionali fino ai singoli
cittadini.
Infelice Azzardo che lo stesso Junker, però, vorrebbe
replicare anche sulla già richiamata questione dei regali fiscali che il
Lussemburgo da lui governato ha elargito a piene mani alle grandi aziende di
altri paesi comunitari con danni gravi e persistenti ai rispettivi bilanci
erariali. In una recente intervista costui ha avuto dapprima la spocchia di
affermare: “Noi non volevamo danneggiare gli altri paesi”. Poi ha soggiunto
che, a ritroso, rifarebbe comunque tutto quel che ha fatto in materia di tasse
limitandosi a precisare: “Ma forse guarderei più in dettaglio alla diretta
competenza”. Come a dare a intendere che in Lussemburgo i peggiori favoritismi
tributari potevano essere tranquillamente negoziati con aziende dai nomi
altisonanti a totale insaputa del primo ministro. Forse neppure lo sventurato
Scajiola avrebbe avuto il coraggio di spararla così grossa. Lascia davvero
sconcertati che a un simile Tartufo sia stata rinnovata la fiducia da parte del gruppo socialista
europeo che dovrebbe essere il più sensibile ai temi sia degli investimenti sia
della concorrenza sleale in materia fiscale. Neppure Molière se lo sarebbe
spiegato.
Massimo Riva – Avviso ai naviganti – L’Espresso – 11 dicembre
2014 -
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