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venerdì 12 dicembre 2014

Lo Sapevate Che: "Tartufo" Junker e i soldi fantasma...



Il grande Molière redivivo non avrebbe dubbi su dove riambientare oggi il suo celebre “Tartufo”. Sicuramente a Bruxelles e con Jean-Claude Junker protagonista senza rivali. Fin dalle sue prime mosse, infatti, il neopresidente della Commissione europea si sta rivelando un campione assoluto di quella miscela fra bigottismo e ipocrisia che il drammaturgo francese metteva ferocemente alla berlina nell’Europa di quattro secoli fa. Azzoppato fin dall’esordio per lo scandalo dei gravi abusi fiscali compiuti dal suo Lussemburgo a danno degli altri soci dell’Unione (..), lo scaltro Junker sta cercando di salvarsi facendo fumo attorno a se stesso e alla sua politica come le navi colpite ma non affondate. Si tratta però di tentativi così disperati che denunciano da soli l’inconsistenza ingannevole dei suoi propositi. E’ questo il caso clamoroso del tanto propagandato pino d’investimenti da 300 miliardi per il rilancio della crescita. Già prendendo per buona simile cifra ci sarebbe da obiettare che essa risulta molto lontana dall’entità che sarebbe necessaria per dare un efficace choc positivo a un’economia continentale da troppi anni depressa. Per avere una misura delle grandezze utili, basta ricordare che l’associazione degli industriali europei stima che per rimettere davvero in moto il sistema bisognerebbe mettere in campo un migliaio di miliardi. Oltre tre volte, dunque, il piano Junker e in tempi più rapidi. Ma C’è Ben Di Peggio. Chi si sia preso la briga di andare oltre la nebulosa cortina degli impegni proclamati  da presidente della Commissione ha scoperto che il suo fumo non nasconde arrosto: i 300 miliardi, in realtà, non ci sono. Nel migliore dei casi restano un’ipotesi poiché questa sarebbe la luminosa idea di Junker: mettere sul piatto circa 16 miliardi ricavati da residui o tolti da vari capitoli del bilancio comunitario che, sommati ad altri 5 messi a disposizione dalla Bei (Banca europea degli investimenti), darebbero una dote di 21 miliardi. E qui scatta una simulazione che farebbe impallidire d’invidia anche gli inventori napoletani della banconota da 300 euro. Secondo i calcoli di Bruxelles, infatti, quei 21 miliardi iniziali, per mezzo di una leva finanziaria da 1 a 15 sui capitali privati, saranno in grado di mobilitare investimenti non più per 300 ma – oplà – addirittura per 315 miliardi. Qualche critico puntiglioso ha ricordato che un moltiplicatore da 1 a 15 non lo si è visto all’opera neppure ai tempi della più allegra turbo finanza. Molto più francamente occorre notare che simili acrobazie aritmetiche denotano qualcosa di peggio di una maldestra manipolazione contabile. Esse, infatti, non riescono a nascondere la sottintesa scommessa di riuscire a prendere un po’ per scemi tutti gli interlocutori europei, dai governi nazionali fino ai singoli cittadini.
Infelice Azzardo che lo stesso Junker, però, vorrebbe replicare anche sulla già richiamata questione dei regali fiscali che il Lussemburgo da lui governato ha elargito a piene mani alle grandi aziende di altri paesi comunitari con danni gravi e persistenti ai rispettivi bilanci erariali. In una recente intervista  costui ha avuto dapprima la spocchia di affermare: “Noi non volevamo danneggiare gli altri paesi”. Poi ha soggiunto che, a ritroso, rifarebbe comunque tutto quel che ha fatto in materia di tasse limitandosi a precisare: “Ma forse guarderei più in dettaglio alla diretta competenza”. Come a dare a intendere che in Lussemburgo i peggiori favoritismi tributari potevano essere tranquillamente negoziati con aziende dai nomi altisonanti a totale insaputa del primo ministro. Forse neppure lo sventurato Scajiola avrebbe avuto il coraggio di spararla così grossa. Lascia davvero sconcertati che a un simile Tartufo sia stata rinnovata  la fiducia da parte del gruppo socialista europeo che dovrebbe essere il più sensibile ai temi sia degli investimenti sia della concorrenza sleale in materia fiscale. Neppure Molière se lo sarebbe spiegato.
Massimo Riva – Avviso ai naviganti – L’Espresso – 11 dicembre 2014 -

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