La situazione del Sindacato e dei suoi rapporti con il
Governo emerge ormai come uno degli elementi caratteristici della crisi
italiana. Delegittimare quotidianamente l’azione sindacale, denunciandone
arretratezze culturali e scarsa rappresentatività, è altrettanto semplice e
sbagliato che accusare Renzi di tatcherismo tout-court. Siamo al solito
vizietto nostrano: la de-rubricazione di contraddizione di rilievo storico a
giudizi sulla qualità del personale politico. Maggiore consapevolezza non
guasterebbe da entrambe le parti. Il Sindacato, in tutti i Paesi
industrializzati, ma da noi ancora più radicalmente, ha dovuto affrontare nel
corso dell’ultima generazione una vera e propria rivoluzione nell’assetto
dell’intero rapporto sociale di produzione, di cui la riduzione drastica del
peso quantitativo e del ruolo culturale-politico delle figure operaie
protagoniste del ventennio ’55-’75 è il segno più clamoroso. La sistematica
frantumazione del mercato del lavoro crea un habitat in cui l’azione sindacale,
che consiste essenzialmente nella contratta<ione del valore di quella
particolarissima merce che è la forza-lavoro, diviene un’impresa improba. La
sua “resistenza” all’interno delle aree ancora consistenti di occupazione stabile
appare perciò fisiologica. Riconoscerlo è doveroso per ogni Realpolitik, prima
di formulare qualsiasi critica. Certo, Un Sindacato meno “corporativo”, capace di organizzare
efficaci reti di solidarietà per chi è “fuori mercato” o per le sue componenti
più deboli, capace di azioni rivendicative per i lavoratori del terzo settore,
per gli immigrati, ecc., sarebbe oggi assai più socialmente rappresentativo e
politicamente autorevole. Ma si rende conto, chi oggi ne denuncia le
arretratezze, che un Sindacato all’altezza della rivoluzione in atto non
potrebbe che essere un Sindacato “dialogante” col Governo su tutti i temi di
riforma sociale? Un Sindacato inevitabilmente impegnato a passare dal
“rivendicazionismo” a forme di “contrattazione – sociale”? Esattamente la
prospettiva che addizione “logica” da un lato, si denuncia la “chiusura” viene
oggi nei fatti respinta. Contraddizione “logica”: da un lato, si denuncia la
“chiusura” sindacale a difesa dell’”acquisito” (occupazione, diritti, ecc.), e
dall’altro non lo si vuole a nessun livello efficace interlocutore sui grandi
temi delle riforme. Se Renzi meditasse con modestia sui limiti oggettivi
dell’azione sindacale in questa fase del sistema capitalistico di produzione (
e senza capitalismo non c’è sindacato), e se ne facesse carico in quanto leader
socialdemocratico (non è così?), forse i rapporti cesserebbero di essere tanto
conflittuali. Con benefici per tutti (ad eccezione dell’alleato “a perdere” del
Nazareno.
E Credo, Inoltre, Renzi farebbe bene a meditare su un
altro aspetto della dolorosa faccenda. Anche attraverso la più “conservatrice”
delle sue azioni tradizionali: mai arrendersi alla riduzione del valore della
forza-lavoro “in atto”, occupata (e a volte sembra quasi che ciò infastidisca i
nostri nocchieri), il Sindacato persegue obbiettivamente un fine che Renzi
stesso proclama di aver posto al cuore della sua strategia: un fine di
uguaglianza, almeno distributiva. Storicamente, non c’è lotta alla crescita
delle disuguaglianze senza azione sindacale. E la crescita delle disuguaglianze
è causa fondamentale della stessa crisi economica. (..). Ma un Sindacato forte
è anche autonomo e dialogante su tutti i temi di riforma sociale. E’ a questo
fine che muove Renzi nelle sua anche sacrosante critiche a conservatorismi e
corporativismi? Oppure aspira a un Sindacato cinghia di trasmissione del
Governo, e dunque, alla fine, ancora più impotente dell’attuale? A lui l’ardua
sentenza.
Massimo Cacciari – Parole nel vuoto – L’Espresso – 4 dicembre
2014 -
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