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venerdì 12 dicembre 2014

Lo Sapevate Che: L'Amore materno e il suo doppio......



La premessa è che arrivo alla maternità a 42 anni. La creatura che porto in grembo è figlia tanto della nostra storia d’amore quanto del progresso scientifico. Il dilemma riguarda la percezione che molte madri hanno di se stesse e dei loro figli. L’esempio più eclatante è il cosiddetto “allattamento a richiesta”. Ogni volta che il nascituro lo chiede (ossia quando piange), deve essere attaccato al seno. Il che significa praticamente sempre, giorno e notte. E per quanto tempo? Mi sembra di capire che l’età in cui questi bimbi vengono “ staccati” dalla tetta si sia allungata in maniera sproporzionata rispetto alla necessità effettiva. L’allattamento così concepito sembra la sola condizione necessaria e sufficiente a uno sviluppo sano del neonato. Le chiedo se non sia, questo, l’inizio di un comportamento diseducativo. Non è questo il primo momento in cui si nega la possibilità di costruire correttamente le mappe emotive di cui lei spesso parla? Esse non si formano a partire dal “riconoscimento dell’altro”? E il primo “altro” chi è, se non la madre? Trovo che ci sia una distanza siderale tra attaccamento e simbiosi, e che nutrire il proprio figlio non si compia esclusivamente nell’offrire il seno.
Lettera firmata
Non so se sono la persona adatta a rispondere alle sue domande. Le mie competenze in questo campo sono limitate alla frequentazione e alla lettura dei libri di Alfredo Pisacane e Isabella Continisio dell’Università di Napoli che, oltre ad aver condotto una battaglia contro i nemici dell’allattamento, tra cui le multinazionali dei sostituti del latte moderno, si sono spesi, come recita il titolo del loro ultimo libro. su: Come fare educazione continua in medicina (Il Pensiero Scientifico Editore). Da queste frequentazioni e letture ho potuto constatare che in questo campo esistono pareri tra i più diversi, che concordano solo nel dire che l’allattamento al seno ì, subito dopo il parto, è vantaggioso non solo per il neonato, ma anche per la mamma, perché favorisce la montata lattea e il ritorno dell’utero alle condizioni precedenti la gravidanza. Per quanto poi riguarda la questione dell’”allattamento a richiesta” tematizzato dalla sua lettera, sembra che il suo bisogno di succhiare il latte: con la ricerca del seno materno, la mano in bocca, la salivazione e infine il pianto, che è l’ultimo degli indizi dopo che gli altri non sono stati avvertiti o sono stati trascurati. Quindi la questione che lei pone: se l’allattamento a richiesta non sia il principio di un comportamento diseducativo, direi proprio di no, perché i neonati piangono quando hanno bisogni primari insoddisfatti che da soli non sono in grado di soddisfare, “bisogni” che noi chiamiamo “capricci” perché non abbiamo voglia di assecondarli ad ogni loro richiesta. Ma proprio qui si palesa il tema dell’ambivalenza dell’amore materno che è causa di tutti i problemi che le mamme si pongono, perché non accettano il fatto che l’amore materno non è mai disgiunto anche dall’odio materno. E la ragione è molto semplice. In noi abitano due soggettività: una che conosciamo benissimo e che chiamiamo Io, e una che dimentichiamo di avere e che ci prevede semplici funzionari della Specie. Le due soggettività l’io e la specie hanno interessi diversi. L’economia della specie persegue la sua perpetuazione attraverso il sacrificio dell’io, come ogni mamma ben sa quando assiste, in occasione della fecondazione, alla trasformazione del suo corpo, al trauma della nascita e poi, divenuta madre, alla sottrazione del suo tempo, del suo sonno, del suo lavoro, della sua carriera, delle sue relazioni, dei suoi affetti e anche amori non limitati all’amore per il figlio. E’ chiaro a questo punto che l’amore materno non è mai puro, ma si confonde anche con l’odio. E questa ambivalenza, che ogni madre, anche se non lo ammette, avverte dentro di sé, è forse alla base del suo rifiuto di accontentare il neonato ogni volta che desidera attaccarsi al seno. “Deve rispettare gli orari”, “Va educato fin dalla nascita”, che tradotto significa: “Guarda, piccolo mio, che oltre a te esisto anch’io, e non mi voglio annullare per te, anche se ti ho desiderato tanto”. Il fatto che l’amore materno si contamini con l’odio materno ì, non va vissuto con sensi di colpa, ma riconosciuto e accettato come effetto delle due soggettività che ci abitano (la specie e l’io) in perenne conflitto tra loro. Questa è la condizione lacerante tipica dell’uomo, che l’animale, che non ha un io, non conosce.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica – 6 dicembre 2014 -

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