La presidenza di Giorgio Napolitano non ha avuto sempre lo
stesso “tono”. E’ partita in sordina, in continuità con quella, molto notarile,
di Carlo Azeglio Ciampi. Poi, dopo la vittoria del Pdl nel 2008 e lo straripare
del potere berlusconiano, Napolitano ha incominciato progressivamente a fare
argine alle disinvolture istituzionali della destra. Il punto di svolta arrivò
con il caso Englaro quando il presidente si oppose al varo di un decreto del
governo volto a impedire che i medici e la famiglia interrompessero lo stato
vegetativo di Eluana Englaro. In seguito, di fronte ai ripetuti sfregi
istituzionali delle varie leggi ad personam, alla insipienza sul piano
economico, e al dileggio internazionale per i comportamenti “disinvolti” del
capo del governo il presidente ha dovuto innalzare la propria figura a
protezione del sistema politico-istituzionale e della credibilità
internazionale dell’Italia. Lo Sfarinamento etico-politico della maggioranza di centro-destra in
assenza di una alternativa credibile e forte ha obbligato Napolitano a un’opera
di supplenza come mai si era visto in precedenza. Dalla crisi dell’agosto 2011
in poi la presenza sulla scena politica del Quirinale è diventata sempre più
forte. Insomma, di supplenza in supplenza il presidente ha occupato stabilmente
la cattedra. Napolitano ha potuto farlo sia per la sua autorevolezza
politico-personale, sia per il vuoto di moralità, di capacità e di
legittimazione che si era creato. Ora, di figure come la sua – politica a tutta
tondo e di lunghissima esperienza, ma senza accenti antagonistici – ce ne sono
pochissime in circolazione. E tuttavia non è possibile tornare ad un presidente
notaio. Per due ragioni. In primo luogo per i tempi incerti e burrascosi che si
profilano nei prossimi anni. Il sistema partitico non si è stabilizzato. Il
grande successo del M5S è in via di riassorbimento, la meteora montiana si è
spenta e Fi segue il declino del suo leader: ciò significa che più di un quinto
di elettori è pronto a cambiare casa (e non tutti andranno al Pd: Renzi
abbandoni l’illusione di ripetere il risultato delle europee). Altrettanto sta
accadendo in parlamento con la – ormai consueta – frammentazione
post-elettorale dei gruppi parlamentari.
Il Paesaggio Politico è in uno stato fluido, e nuove
elezioni a breve sarebbero opportune, vista l’enorme distanza tra la
composizione attuale delle camere e la realtà politica del paese. Quindi, il
profilo dell’inquilino del Quirinale dovrebbe avere i tratti di una personalità
esperta ed autorevole. Ma una scelta sulla base di queste considerazioni
rimanda, inevitabilmente, a persone navigate e mature; proprio quel profilo che
non piace al King-maker Renzi, insofferente di chiunque non sia adeguatamente
gestibile. E invece proprio la bulimia di potere del premier costituisce il
secondo motivo della opportunità di avere un personaggio politico di lungo
corso al Colle, perché in questo modo si assicura un equilibrio tra i poteri.
Un tempo valeva l’alternanza tra cattolici e laici nella scelta del presidente,
criterio poi abbandonato per l’irrilevanza della questione. Ora si tratta
piuttosto di garantire che i pesi e contrappesi previsti dall’assetto
costituzionale funzionino bene e non ci sia uno squilibrio eccessivo in
direzione del governo (così come invece c’è stato, in questi ultimi tempi, a
favore del Quirinale). Infine, il presidente della Repubblica, come sappiamo,
incarna l’unità della nazione in quanto super partes. Napolitano veniva da una
storia a lungo considerata “antisistemica” come quella comunista dei primi
decenni post-bellici; eppure la sua azione si è ispirata agli interessi
collettivi, senza indulgenze per la propria origine politico-partitica. E tutti
lo hanno riconosciuto. Sono queste le qualità di buon presidente, oggi:
autorevole, non partigiano, libero da condizionamenti e padrinaggi, e con una
caratura morale tale da far comprendere agli italiani che la politica è una
attività nobile e importante. E riguarda tutti noi.
Piero Ignazi – Poteri&poteri – L’Espresso – 11 dicembre
2014 -
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