Talmente tanti sono gli
scoop dell’inchiesta sulla “mafia capitale” che, davvero, si rischia di
rimanere superati dagli eventi; che, peraltro, tutti prevedono “devastanti”. Ma
una prima vittima c’è: il linguaggio comune, quello a cui gli italiani negli
ultimi trent’anni si erano abituati. Per questo almeno, ma sicuramente anche per altro, l’indagine
romana entrerà negli Annali. Colpita al cuore è la parola Mafia. Noi sapevamo che la mafia (ovvero Cosa Nostra), stava a
Palermo, con una grossa filiale a Corleone. E invece, no. Ora si scopre che sta
a Roma. Cupola? No. Cupone. E quindi avanzano dubbi epocali. Chi comandava tra
Palermo e Roma? Valeva di più il vecchio misterioso Terzo Livello o l’attuale filosofica Terra di mezzo? Gli interrogativi filologici diventano immensi. Se
c’era davvero una mafia a Roma, forse si sono buttate via troppo presto altre
fampse inchieste, per esempio quella che voleva che il capo di quella
palermitana fosse il romanissimo Giulio Andreotti. A tutti sarà capitato, una
volta almeno nella vita, di sentirsi dire da un signore palermitano molto
distinto:”Creda a me, la mafia in Sicilia non esiste, la mafia sta a Roma”. E
se avesse avuto ragione? La “mafia capitale” ha un’altra caratteristica. Ci è
terribilmente familiare. A differenza del mistero siciliano, i romani li
conosciamo benissimo, perché compaiono nei nostri migliori film, in dozzine di
pregevoli libri di inchiesta, nei risultati elettorali, nello stadio più
tremendo d’Europa. A differenza dei siciliani, i mafiosi romani sono
apertamente fascisti, grevi, sprocedati, cravattai, spacciatori, palazzinari,
con aderenze in Vaticano. Il loro capo, secondo l’inchiesta, era addirittura
una star di Romanzo Criminale, il
Nero, cioè il compare del Libano, del Freddo, del Dandi. Trasmigrati tutti
dalla fiction nella realtà; insieme al sindaco fascista (ma solo in gioventù),
al detenuto buono diventato manager, alla lega delle cooperative, alla stecca,
alla mommezza, ai campi nomadi, all’ente Eur, in una narrazione che comprende
il rapimento Moro, i misteri vaticani, la sepoltura in basilica di Renatino, il
delitto Pecorelli, le grandi rapine miliardarie, i servizi segreti deviati, la
banda della Magliana. C’è da farsi venire l’emicrania. Davvero la capitale
d’Italia era nelle mani di tale Massimo Carminati, detto il cercato, ovvero il Nero del film, ovvero Riccardo Scamarcio con
i boccoli? Davvero questo Massimo Carminati, dopo essere stato coinvolto in
tutti i delitti italiani possibili – ed essere sempre stato assolto –
governava, fino a ieri, Roma con metodi mafiosi davanti ai quali tutti erano
intimiditi, mentre il problema vero sembravano le multe della Panda del
sindaco? Come cambiano i tempi. Trent’anni fa la rivista satirica il Male mandò in edicola un falso numero
del quotidiano Paese Sera, con
l’annuncio dell’arresto di Ugo Tognazzi, il grande vecchio delle Brigate Rosse:
fu il capolavoro del surrealismo italiano. Oggi la Procura di Roma riscopre il
neorealismo.
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 12
dicembre 2014 -
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