Che quello di Matteo Renzi sia un brand non c’è più alcun
dubbio. Che il Presidente del Consiglio abbia mutuato dai marchi la strategia
comunicativa, è un fatto sicuro. E non si tratta solo di mrssaggi in senso generico, perché oggi
nel sistema contemporaneo fondato sui media, dalla televisione ai social
network, la comunicazione è tutto. Renzi si rivolge direttamente agli elettori,
saltando la mediazione dei tradizionali corpi intermedi, dai partiti ai
sindacati, dalle organizzazioni di categoria alle associazioni, che un tempo
erano legate strettamente ai partiti tradizionali, dai Pci alla Dc. In cosa
consiste questa strategia comunicativa, in cui forma e sostanza del messaggio
si fondano senza più nessuna differenza? Come ha spiegato negli anni ottanta
Jacques Séguéla, pubblicitario e guru di vari presidenti francesi, le marche
commerciali, i grandi brand, avevano mutuato dallo star system di Hollywood le
forme di comunicazione, trasformando di fatto le marche – Coca Cola, Apple,
Ikea – in star, come se il marchio fosse dotato di personalità, stile e carattere
proprio. Inoltre, come per i divi cinematografici o musicali, in quel periodo
divenne decisivo abbinare al brand una storia, creare storytelling: vendere un
prodotto significa creare una narrazione e convincere il consumatore di farne
parte. Oggi le marche contemporanee hanno affinato questa strategia creando
intorno a loro delle community mediante le pagine Facebook e i 140 caratteri di
Twitter. La performatività tecnologica consente di segmentare i clienti, così
che non si parla più di pubblico al singolare, bensì di pubblici al plurale.
Cresce così l’estetizzazione dei prodotti e la carica innovativa di tutti i
Brand. Matteo Renzi, come spiega nel suo libro Nello Barile ( “Brand Renzi”,
Egea) ha mutuato queste strategie dalle marche con più appeal: brand identity
brand image. Se si pensa agli slogan, alle parole chiave, alle frasi di Renzi,
si capisce immediatamente di cosa si tratta: rottamazione, smart, mutamento, futuro.
Le cinque convention della Leopolda ne sono un concentrato. Renzi è per il
mutamento, sfodera informalità (“Chiamatemi Matteo”), spontaneità, giovinezza,
sicurezza di sé, produce discorsi in pubblico, ma anche nella rete, su twitter,
che funzionano come elementi d’identità e d’immagine. Barile parla giustamente
di metabranding, operazioni dirette a pubblici differenti, politicamente
trasversali, aggregati dalla lotta anti-gerontocratica, ad esempio, anche dove
si praticano stili di vita e valori differenti. Sin qui tutto questo ha
funzionato, anche se presenta una serie di problemi di non facile soluzione.
Intanto, la politica attuale conserva forme di mediazione che allungano i tempi
e non premiano certo la velocità dell’azione. Inoltre, a differenza dei brand
commerciali, Renzi non vende un prodotto, vende se stesso, cosa più difficile,
perché non si tratta di un bene materiale. Dice Barile: “in politica non esiste
il prodotto, se non in senso lato”. Ciascuno verificherà di persona se si
pagano meno tasse, se i servizi sociali funzionano, se lo Stato è efficiente
oppure no. Ovvero se le promesse fatte dall’elettorato vengono mantenute. In
questo senso qualcosa sta cambiando nel Renzi Brand. La sua comunicazione è
tornata a ruotare intorno alla televisione, là dove i social network non
bastano a creare consenso, poiché in questo campo, nonostante l’oltre un
milione di follone, Renzi è solo un influencer di influencer. Non raggiunge
tutti i possibili “clienti” del brand. Insomma, la politica quotidiana sembra
assorbire ora le sue energie, mentre l’immagine non sembra più brillante come
un anno e mezzo fa. La strategia di fondo impostata dai suoi spin doctor resta
quella del brand, tuttavia per funzionare richiede una continua messa a punto,
ovvero energie e tempo che la funzione quotidiana di governo non sempre
consente. Un problema in più. Matteo Brand non recede di certo.
Marco Belpoliti – Attualità – L’Espresso – 18 dicembre 2014 -
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