Quando esplose il caso delle presente tangenti di
Finmeccanica al governo indiano numerosi politici e commentatori si dilungarono
in lezioni di business agli inquirenti e a tutti coloro che si scandalizzavano.
In “certi paesi” – aggio non troppo si affrettavano a dichiarare – questo è
l’unico modo di fare affari. Così fan tutti, aggiungevano, e, col tono di
uomini di mondo, accusavano di ingenuità chiunque osasse affermare il
contrario. Così facendo, dimostravano non solo un atteggiamento estremamente condiscendente nei confronti dell’India, ma
anche ignoranza della legge italiana. Nel 2001, proprio il governo Berlusconi,
approvò la famosa legge 231 che, adeguandosi agli standard Ocse, introdusse nel
nostro ordinamento il reato di corruzione internazionale. Pagare tangenti in
India è un crimine al pari di pagarle in Italia. Dopo Lo Scandalo dell’Expo e quello del Mose,
l’inchiesta di “Mafia Capitale” mette in luce che nel nostro Paese la
corruzione non è un’eccezione, ma la regola. Non si tratta solo di alcune mele
marce. L’unico dubbio è se ne siano rimaste alcune sane. Chi sostiene che la
diffusione delle tangenti in India ne giustifica l’uso, manda un mese in
Italia. Anche perché le tangenti pagate all’saggio non troppo subliminale: è ok
pagare tangenti anche in Italia. Anche perché le tangenti pagate all’estero
raramente rimangono tutte all’estero. Per finanziarle è necessario creare un
sistema contabile opaco. Una volta creato, questo sistema viene facilmente
utilizzato dai manager delle imprese stesse per pagare tangenti anche nel
nostro Paese. “Lo sai perché Massimo Carminati è intoccabile? – si sente in una
delle intercettazioni dell’inchiesta Mafia Capitale – perché era lui che
portava i soldi di Finmeccanica. Bustoni di soldi a tutto il parlamento”. In
altre parole la corruzione difficilmente rimane confinata nel paese d’origine.
Ma cosa si può fare per sconfiggerla? Guardiamo innanzitutto alle differenze
tra i paesi dove la corruzione è rara, come la Svezia, e quelli dove è molto
diffusa, come la Nigeria. L’evidenza empirica ci dice che non esiste una forte
differenza di valori. Anche nei paesi più corrotti, una grossa fetta della
popolazione considera immorale pagare un pubblico ufficiale. Non è neppure un
problema di povertà economica: non c’è correlazione tra stipendi dei pubblici
ufficiali e diffusione della corruzione. Si tratta invece di un problema di
aspettative. Tanto più una persona ritiene che il mondo circostante sia
corrotto, tanto maggiore è per lui il costo di essere onesto e tanto minore
quello di essere corrotto. Lo scopo della corruzione è proprio quello di
sbilanciare le regole a favore dei corruttori, a tutto svantaggio degli onesti.
E’come nella fila a uno sportello. Quando tutti passano davanti, le persone
corrette finiscono sempre inevitabilmente ultime. D’altra parte se tutti
tagliano la fila, la sanzione sociale per i “furbi” svanisce. Lo stesso vale per
la corruzione, dove non solo la sanzione sociale svanisce, ma pure quella
legale diventa più difficile da infliggere, perché i casi sono troppi.
Un’implicazione di questa evidenza è che è molto più difficile passare da paese
corrotto a paese onesto che viceversa.. Un’altra è che la battaglia contro la
corruzione non può essere vinta solo dai giudici. Per quanto repressive siano
le leggi ed efficaci i controlli, se la corruzione è socialmente accettata come
inevitabile, è impossibile da sradicare. In Cina neppure la pena di morte
blocca il fenomeno.
La Battaglia contro la corruzione si può vincere
solo se alla repressione si accompagna un cambio delle aspettative sulla sua
ineluttabilità. In questo senso un leader carismatico come Matteo Renzi
potrebbe molto. Se si impegnasse in una campagna di tolleranza zero nei
confronti dei corrotti, a cominciare dal suo partito, potrebbe mandare un
segnale forte. Non basta rottamare i vecchi leader. Occorre rottamare anche il
sistema di potere che li ha creati e con esso la tolleranza più o meno
esplicita per i corrotti. Le poche mele sane hanno il dovere di denunciare il
marciume che le circonda. Altrimenti ne diventano automaticamente complici
morali.
Luigi Zingales- Libero mercato – L’Espresso – 18 dicembre
2014 -
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