A chi figli, e a chi figliastri: è questa la legge morale che
impera in Itali, il Paese della discriminazione e delle corporazioni. Dove va
avanti chi nasce privilegiato, mentre chi non vanta conoscenze e relazioni
rischia, quasi sempre, di arrivare ultimo. Alla Sapienza di Roma l’assioma è
spesso confermato: sono decine i parenti di professori eminenti assunti nei
dipartimenti, con intere famiglie (su tutte quella dell’ex rettore Luigi Frati)
salite in cattedra. A volte con merito, altre meno. La nostra inchiesta (n.49)
sullo strano concorso di dottorato vinto dal rampollo del nuovo magnifico
Eugenio Gaudio, al tempo preside di Medicina, ha fatto scalpore: la storia del
compito “sbanchettato” (qualsiasi segno di riconoscimento è vietato) e la
notizia del singolare intervento dei legali dell’università (hanno chiesto un
parere all’Avvocatura dello Stato, che ha invitato la Sapienza a “perdonare” il
candidato (..) hanno fatto il giro del web. Il pezzo è stato condiviso decine
di migliaia di volte, con centinaia di commenti (piuttosto severi) di ex
studenti e docenti dell’ateneo romano. Tra le decine di lettere arrivate in
redazione, due sono metafora perfetta di come la sorte possa essere diversa a
seconda del cognome che si porta. Livia Pancotto, 28 anni, laureata in
Economia, con 110 e lode, spiega che la storia del pargolo di Gaudio le ha
fatto “montare dentro una rabbia tale da farmi scrivere” poche, infuriate
righe. “Nel 2012, dopo la laurea, decisi di partecipare al concorso per il dottorato
in Management, Banking abd Commodity Sciences, sempre alla Sapienza”, scrive in
una lettera a”l’Espresso”. “Dopo aver superato sia l’esame scritto che l’orale
ricevetti la buona notizia: ero stata ammessa, sia pure senza borsa”. Dopo un
mese, però, la mazzata. “Vengo a sapere dal professore che il mio concorso è
stato annullato, visto che durante lo scritto ho utilizzato il bianchetto. Come
nel caso del figlio del rettore Gaudio, nessuno aveva specificato, prima
dell’inizio del compito, che il bando prevedesse che si potesse usare solo una
penna nera”. Se per il rampollo dell’amico che prenderà il suo posto il rettore
Frati mobiliterò il suoi uffici legali, la Pancotto viene silurata subito,
senza pietà. Oggi la giovane economista vive in Galles, dove ha vinto un
dottorato con borsa all’università di Bangor. Anche la vicenda di Federico
Conte, ora tesoriere dell’Ordine degli psicologi del Lazio, è paradossale. Dopo
aver completato in un solo anno gli esami della laurea specialistica nel 2009,
la Sapienza tentò di impedire la discussione della sua tesi. “Mi arrivò un
telegramma a firma di Frati, dove mi veniva comunicato l’avvio di una
“procedura annullamento esami”: il magnifico non era d’accordo nel farmi
laureare in anticipo, ed era intenzionato a farmi sostenere gli esami una
seconda volta”. Conte domandò all’ateneo di chiedere un parere all’Avvocatura,
ma senza successo. Il giovane psicologo fu costretto a ricorrere al Tar, che
gli diede ragione permettendogli di laurearsi. “Leggendo la vostra inchiesta ho
la percezione di un’evidente diversità di trattamento rispetto al figlio del rettore. Provo un certo
disgusto nel constatare come le nostre istituzioni siano così attente e
garantiste con chi sbanchetta, mentre si accaniscano su chi fa il proprio
dovere”. Magari pure più velocemente degli altri. Ma tant’è. Nel paese dove i
figli “so’piezz’e core”, la meritocrazia e l’uguaglianza restano una chimera.
Anche nelle università, luogo dove – per antonomasia – l’eccellenza e il rigore
dovrebbero essere di casa.
Emiliano Fittipaldi – L’Espresso – 25 dicembre 2014 -
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