Sta’ a vedere che questa volta davvero si riesce a farne la
Bbc, alla faccia di Arbore & Boncompagni che alla radio cantavano che no,
non è la Bbc. Perché “questa è la Rai, la Rai tivvù…”. Un’altra cosa. E invece
ora Matteo Renzi annuncia la Grande Riforma della pubblica televisione:
concessione decennale e non più triennale, cioè via il cappio della periodica
contrattazione con partiti e governo; canone dimezzato e legato alla bolletta
della luce, così finalmente tutti dovranno pagarlo; cda più snello e con meno
poteri di gestione; e un amministratore delegato invece del direttore generale.
Come in un’azienda normale. Una rivoluzione. Se il governo ci riuscisse, si
incrinerebbe un architrave della Vecchia Repubblica. Magari portandosi dietro
il relativo carico di lottizzazione consociativa, di consiglieri “in quota di”
e di”editori di riferimento” ( i partiti e i loro big). E il premier farebbe un
altro passo verso la piena presa di potere. Stavolta quello della
comunicazione, visto che la metà degli italiani sceglie ancora la tv come prima
fonte di informazione. Ne vedremo delle belle. Se Le Cose Stanno Così, va visto sotto tutt’altra luce il
mini golpe con il quale il consiglio d’amministrazione della Rai ha appena
deciso di fare ricorso contro il piano di risparmi e razionalizzazioni
annunciati, d’intesa con il governo, dal dg Luigi Gubitosi. Sono provvedimenti
che in tempi di crisi prende ogni azienda, ma questa – appunto – non è la Bbc,
e qui la logica segue altre strade; di solito gli amministratori sono accusati
di tagliare poco e male, il cda Rai vorrebbe invece che tutto restasse così
com’è e chisenefrega dei risparmi imposti al Paese.. E pur di tenere il punto
si arriva a smentire se stessi: per esempio, i consiglieri cari al Pd
(Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo) hanno votato contro i progetti del Pd;
quello dell’Udc, Rodolfo De Laurentis, contro le decisioni dell’Udc; e,
ineffabile, quello nominato dall’azionista ministero dell’Economia (Marco
Pinto) non ha avuto vergogna a sconfessare il ministro dell’Economia…Ma
talvolta la regola vale anche alla rovescia. Nel dicembre dell’anno scorso,
appena un anno e mezzo dopo la sua nomina a dg – tenere a mente i tempi –
Gubitosi veniva richiamato all’ordine dal principale partito che l’aveva voluto
lì, il Pd, con queste parole . memento: “Il direttore generale è stato nominato
dalla politica”. Chiaro? La Verità E’ Che La Rai è da sempre il più attento
termometro della temperatura politica del Paese: il governo va in crisi? E ci va
anche la governante di viale Mazzini. Le maggioranze fibrillano? E fibrillano
pure cda, dg e presidenti. E infatti da quando la Rai c’è, cioè da
sessant’anni, sono sfilati ventiquattro presidenti, quindici solo nel ventennio
berlusconiano, tre dei quali per pochi giorni appena e uno – Paolo Mieli –
nominato e mai insediato. I direttori generali sono stati ventitré, quattordici
dei quali dal 1994 a oggi. Tanti quanto i governi, uno più uno meno. In altre
parole, sono rimasti in carica – in media – un anno e mezzo ciascuno, giusto il
tempo di rendersi conto delle cose da fare e di essere sostituiti prima di
prendere una qualunque decisione, o subito dopo averne annunciata una.
Ovviamente c’è anche chi è durato di più, come chi lo aveva nominato lì ma,
controllare per credere, esattamente un anno e mezzo dopo il suo arrivo sono
cominciati gli avvertimenti, i distinguo, gli altolà. Questa è la Rai, la Rai
tivvù. Per definire questo intreccio perverso, Alberto Ronchey contò negli anni
’60 il termine “lottizzazione”. Vent’anni fa Carlo Azeglio Ciampi provò a
fermarla nominando un cda di professori (oggi li chiameremmo tecnici); allo
stesso modo si è mosso due anni fa Mario Monti scommettendo sul ticket
Tarantola-Gubitosi ma, come dimostrano le vicende -di questi giorni, il Palazzo
non molla la presa. Oggi Renzi ci riprova. Ma è ancora presto per capire se
vuole davvero cambiare verso, o la sua è solo una sofisticata arma politica per
continuare la guerra con altri mezzi. Alla prossima puntata.
Twittwe@bmanfellotto – Bruno Manfellotto – Questa settimana –
4 dicembre 2014
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