Nemmeno le accenno quanto la stimi, e come il fatto stesso
sia per me un’eccezione, considerato il livello di impostura o mercificazione
intellettuale che, vedo, si è affermato e va sempre più imponendosi tutt’intorno.
Il punto. Ho letto il suo articolo La
psicoterapia serve davvero a curare l’anima?
E devo confessare che non sono d’accordo con la semplificazione che lo informa
tutto. La sua prima reazione è stata che non si conosca mai abbastanza quanto
si possa soffrire, magari per una semplice sovrabbondate sensibilità, o per uno
di quei cosiddetti circuiti disfunzionali della mente o del cuore. Sì, certo, è
anche e soprattutto la “filosofia di vita” che abbiamo adottato che deve
guidarci e provare a renderci liberi, ma a volte non basta, perché capita
talvolta che nemmeno siamo più capaci di ricordarcene e così di ricorrervi, per
guardare fuori di noi e ritrovare il nostro posto, quello che abbiamo scelto
riflettendo sulle ragioni e le misure della nostra esistenza. Della
psicoterapia, poi, fanno parte anche i farmaci , q quelli nessuna filosofia ce
li può dare! Farmaci che, se assunti al momento giusto e sotto una guida
professionalizzata e responsabile, possono donarci una vita meno drammatica di
quella che la natura stessa o le più svariate esperienze cui siamo stati
esposti ci hanno riservata. Mi fermo qui. Sono certo abbia colto quanto volevo
dirle, nonostante l’estrema sintesi, cui mi obbliga il rispetto che nutro per
il suo tempo.
Giacomo Zaccaria – giacomoz45@libero.it
Nell’estate 2013 ha scritto su questa rubrica un pezzo, per
chiedere diritto di cittadinanza alla consulenza filosofica, che mi ha
procurato l’ostilità di molti psicologi arrabbiati e qualche problema con
l’Ordine degli Psicologi della Lombardia, a cui sono iscritto. Ora ci ritorno,
indotto dalla gentilezza con cui lei espone il suo disaccordo, che in realtà mi
trova con lei del tutto in accordo. La ragione è molto semplice. La consulenza
filosofica non si propone di curare e tanto meno di guarire chi sta male
nell’anima, ma di comprendere e, se è il caso, di cambiare il nostro modo di
essere al mondo, che le idee che abbiamo in testa determinano e condizionano.
Quindi non una terapia dei sentimenti, delle emozioni, dei traumi, dei vissuti
infantili che ancora agiscono per una sorta di coazione a ripetere, e tanto
meno una cura delle psicosi depressive, maniaco depressive, paranoiche,
schizofreniche, dove l’intervento farmacologico è essenziale e tanto più
efficace se accompagnato da quel dialogo e da quelle forme di incontro che la
psichiatria fenomenologica da tempo, senza grande successo, va suggerendo agli
psichiatri, perché come scrive KafKa: “Prescrivere una ricetta è facile,
parlare con un sofferente è molto più difficile. Detto questo, la consulenza
filosofica non si occupa di “conflitti psichici”,ma (come suggerisce Karl
Jaspers, il più grande psicopatologo del Novecento che ho avuto la fortuna di
incontrare) di “visioni del mondo”, troppo anguste, ristrette, fossilizzate,
rigide, coatte, in ogni caso non idonee ad affrontare i cambiamenti della
propria vita o i mutamenti della società spesso troppo rapidi e imprevisti per
essere interiorizzati e assimilati. Quindi una “terapia delle idee” com’era la
filosofia al suo sorgere quando, nelle piazze di Atene, Socrate insegnava che
cosa è giusto, che cosa è vero, che cosa è bello, non perché lui lo sapesse
(non esita a definirsi in possesso solo di “una dotta ignoranza”) ma
correggendo le opinioni non fondate con cui molti governano la propria vita. La
consulenza filosofica non si rivolge solo ai singoli individui, ma anche alle
istituzioni come le carceri, dove la mancanza di libertà riduce la speranza di
un futuro che diventa difficile da progettare, le aziende dove i dipendenti si
sentono spesso semplici esecutori di compiti, frustrati da una comunicazione
che l’ordine gerarchico fa scendere dall’alto senza replica dal basso, negli
ospedali dove vige una comunicazione spesso sbagliata tra medici autoritari,
infermieri umiliati e pazienti costretti a essere molto “pazienti”. Questa è la
consulenza filosofica, che non fa alcuna concorrenza alla psicoterapia e
tantomeno all’intervento farmacologico. Un esempio pratico di consulenza
filosofica è l’esperimento in carcere della lettura e l’interpretazione delle
tragedie greche da parte delle recluse (..). Grazie per la sua lettera che mi
ha consentito di tornare su questo tema.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica -29 novembre 2014
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