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domenica 2 agosto 2015

Lo Sapevate Che: Un sistema di decomposizione...



Era il 9 Agosto 2012 quando il segretario del Pd siciliano Giuseppe Lupo formalizzò la candidatura di Rosario Crocetta alla presidenza della regione Sicilia. L’ex sindaco antimafia di Gela, gay, cattolico e comunista appariva l’unica carta per provare a conquistare la regione, dopo il disastro Pd di pochi mesi prima. Alle primarie per la candidatura a sindaco di Palermo lo sconosciuto Fabrizio Ferrandelli aveva sconfitto Rita Borsellino, sostenuta dall’allora segretario Pier Luigi Bersani, e stracciato il leopoldino Davide Faraone, amico di Matteo Renzi che aveva spedito a Palermo il guru Giorgio Gori a organizzare la sua campagna elettorale. Alle elezioni comunali, però Ferrandelli era stato travolto dal ritorno dell’eterno Leoluca Orlando, già sindaco nel 1985 con la Dc. La candidatura di Crocetta era nata così: il Pd non poteva permettersi una nuova débacle alla vigilia delle elezioni politiche del 2013 e con IL Movimento 5 Stelle in crescita. Il maverick di Gela, il cavallo pazzo fuori dagli schemi, sembrava l’uomo giusto per arginare l’ondata anti-politica, come sarà qualche mese dopo Ignazio Marino a Roma. E oggi da possibile soluzione, come Marino, è diventato per Renzi il problema. Tornare subito al voto significa per il premier consegnare la Sicilia al Movimento 5 Stelle. Andare avanti con Crocetta significa esporsi al cortocircuito mediatico-giudiziario-politico.  Per questo si cerca la via di mezzo, voto in primavera e nuova coalizione allargata a pezzi del centrodestra in disarmo: dal Partito della Nazione al Partito dell’Isola. Da tempo la politica siciliana ha smesso di seguire gli schieramenti nazionali: già con Raffaele Lombardo i partiti si erano spaccati secondo logiche impossibili da decifrare da Roma. Trasformismi, alleanze friabili che si compongono e si sciolgono in poche settimane. Il sistema Crocetta, con la regia del senatore Giuseppe Lumia, la convivenza del Pd con una lista del presidente ( il Megafono), ha portato la decomposizione a compimento, nell’impotenza dei vertici romani. Ieri Bersani, oggi Renzi. Fino agli ultimi giorni, il patto tra largo del Nazareno e i signori della guerra dell’isola prevedeva che i siciliani in Italia si sarebbero limitati a spostare i consensi sul leader di turno (nel 2012 vinse Bersani con il 66 per cento, un anno dopo Renzi con il 60) e i vertici di Roma non avrebbero messo bocca sulle scelte locali. Un’autonomia siciliana, chiamiamola così, che si è dimostrata disastrosa. Ora tramonta l’antimafia di facciata, trasformata in un neo-conformismo con cui si fa carriera, in nome dei martiri come Paolo Borsellino. Finisce la breve era del governatore Crocetta. Ma il modello siciliano resta l’immagine di cosa può diventare un sistema politico senza principio d’ordine, con un leader autocratico, le correnti di partito come capitani di ventura e i solidissimi interessi delle lobby fuori da regole e controlli. E il futuro scontro elettorale nell’isola, tutti insieme dal Pd all’Ncd di Angelino Alfano alle schegge dell’ex Forza Italia contro M5S, prefigura già la partita che si giocherà con l’Italicum. La Sicilia come metafora, diceva Sciascia. Dell’Italia, della politica che verrà.
Marco Damilano – Il caso Crocetta – L’Espresso – 30 luglio 2015 -

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