Il fatto che il nostro
attuale presidente del Consiglio – e contemporaneamente segretario del PD –
abbia accolto con un’alzata di spalle e bollato come “piagnisteo” l’ultimo
rapporto Svimez (glorioso istituto di ricerca sul Mezzogiorno fondato
addirittura nel 1946), non ha purtroppo cancellato l’infausta prognosi ivi contenuta. Come sapete,
non solo i dati economici e sociali sono tremendi (povertà, disoccupazione,
nascite, emigrazione, investimenti – questi ultimi calati addirittura del
sessanta per cento negli ultimi dieci anni), ma è come se il medico dicesse “la
scienza ormai può fare ben poco, vi consiglio di chiamare il prete per
l’estrema unzione”. Il Mezzogiorno d’Italia (più o meno da Roma in giù),
secondo lo stime è in condizioni “molto peggiori della Grecia”, la gente che
può (giovani, che hanno ancora energia) scappa ovunque sia possibile (un
milione negli ultimi dieci anni, cifre paragonabili a quelle di Paesi che si
affacciano a noi dai baroni); l’industria è stata “desertificata”, le donne non
fanno figli ( “come ai tempi dell’unità d’Italia”), “assistiamo a uno tsunami
demografico”), gli immigrati che muoiono di fatica nei campi di pomodoro non
riescono a sollevare i dati della nostra agricoltura: meno 39 per cento. Ancora
più triste, nel rapporto Svimez, è l’assenza di un farmaco miracoloso. Nulla di
quanto tentato finora: Cassa del mezzogiorno, industrializzazione siderurgica,
distretti industriali, prestiti d’onore, banca del sud, energia eolica, turismo
low cost, perfino mafiosi nei governi nazionali, ha cambiato la situazione.
Vana la speranza che, accettando l’evasione fiscale dell’economia sommersa,
emergesse: non è emerso un bel niente. (Si noti, poi, che, per carità di
patria, il rapporto Svimez non parla della criminalità nel mezzogiorno, questa
sì, generatrice di profitti favolosi, ma, purtroppo, non reinvestiti sul
territorio). Che si fa, quando ti spiattellano un verdetto così tragico? Beh,
si potrebbe dire che i dati Svimez sono falsi; ma, finora nessuno si è
avventurato su questo terreno. Si può dire: non è colpa mia, ma dei governi che
mi hanno preceduto. Fin troppo facile, alla Tsipras. Si può dire: il divario
tra Nord e Sud è una costante dell’Italia, fin dai tempi di Garibaldi e di
Cavour. Già però qui si va su un terreno scivoloso, in cui poi ti arrivano
addosso i Neoborbonici e non sai dove te li portano. Si può dire: separiamoci.
E, di fatto, è quello che è successo negli ultimi vent’anno, con la Lega al governo;
i soldi, in tutte le forme possibili, se li è succhiati il Nord. Si può dire:
il Sud Italiano è quello che la Germania Est è stato per Bonn ai tempi
dell’unificazione negli anni Novanta, ovvero una palla al piede. Vero: ma in
Germania, in vent’anni, l’est (molto aiutato) ha fatto passi da gigante. E allora? Cosa volete che vi dica? Io mi fido
di Renzi: della sua energia, del suo entusiasmo, del suo candore. E mi auguro
che il rapporto Svimez non cada in mano alla Troika.
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica 14 agosto
2015
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