Quando avevo 19 anni,
alla fine del liceo classico, mi presi una cotta per una ragazza della mia
suola che ne aveva circa 16, che mi ricambiò ampiamente. La storia andò avanti
per due o tre anni
con reciproca grandissima soddisfazione (o almeno allora così ci parve). Mano
nella mano di pomeriggio un paio di volte la settimana quando andava anche a
lezione di danza classica dalla mitica Ruskaja, io andavo a prenderla
all’uscita e la riaccompagnavo a casa al quartiere Salario. Anche lei oggi è da
poco vedova (o separata, non ho capito bene) del secondo marito, anche lei è
nonna, ma purtroppo abita in un paese a una trentina di chilometri da Roma dove
invece io risiedo. Ogni tanto ci risentiamo, e un paio di volte siamo anche
stati a pranzo insieme. Certo tutti e due siamo fisicamente cambiati ma la
tenerezza di allora mi sembra stia rispuntando. Infatti, per tutti e due la
solitudine è un brutto male. Perciò per il prossimo futuro…chissà?
Lettera firmata – Roma
Non vorrei ferirla, ma personalmente non credo che mettersi
insieme alla vostra età risolva il problema della solitudine. La solitudine non
scompare con la convivenza, è uno stato d’animo che non guarisce mettendosi in
due. La solitudine è non avere più quello che avevamo, sentire lontani e finiti
i giorni della felicità, non avere più vicino le persone che ci hanno riempito
la vita. Per due persone separate da decenni, la convivenza potrebbe deludere,
portando ognuno le sue abitudini e i suoi ritmi. Certamente mi sbaglio, ma
questo pensiero vale anche per me. Credo che si vinca la solitudine
comportandosi come voi adesso: ognuno continua a vivere nel suo mondo per poi
ritrovarvi il più spesso possibile, come una coppia adolescente di fidanzati,
rivivendo quell’antica tenerezza che non ha bisogno del vivere insieme.
Natalia Aspesi – Questioni di Cuore – Il Venerdì di
Repubblica – 7 agosto 2015
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