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mercoledì 26 agosto 2015

Lo Sapevate Che: I nostri genitori cicale del XX secolo...



Ho Trentacinque Anni ancora per circa un mese e sono dantescamente nel mezzo del cammin di nostra vita, salva la necessaria considerazione dell’innalzamento dell’aspettativa di vita. Sono abituato a fare bilanci, perché da quasi 10 anni le persone che incontro mi chiedono spesso di guardarmi dietro, di riflettere su quello che ho fatto e chiedermi se ne sia valsa la pena. Sono stato sollecitato a riconsiderare anche il passato più che prossimo, quindi con i bilanci sono abituato a convivere. (..). Io che non vivo la quotidianità da molto tempo – non per mia scelta – ma che per questo vengo spesso accusato di parlare di cose che non conosco, sento la necessità di calarmi nella normalità della mia generazione, poiché noi tutti, anche io dunque, siamo quelli nati con un debito pro-capite già oltre la soglia di guardia e che nel tempo della nostra adolescenza è andato progressivamente crescendo, per poi esplodere quando ci siamo affacciati al mercato del lavoro. (..). I nonni si trovarono al cospetto di un Paese distrutto economicamente e fiaccato da venti anni di dittatura, con tutto quanto questo comportò in termini di compromissione morale della popolazione. Noi, più modestamente, ci troviamo a dover riciclare gli scarti lasciati dalla generazione dei nostri genitori, le cicale del ventesimo secolo. Non è questo un discorso valido ovunque, ma in Italia ha un qualche senso: gli anni Sessanta e Settanta del Novecento hanno ovunque conosciuto una stagione di grande vitalità e i nostri padri, figli allora, combatterono una battaglia costante e senza quartiere contro i loro padri, con l’obiettivo unico della liberazione delle loro vite, nell’istruzione, nel lavoro, nell’amore e in famiglia. Quel Patrimonio di conquiste sociali e civili è oggi acquisito, ma mentre altrove quanto seminato ha continuato a dare frutti, l’Italia sembra ferma dagli anni Settanta, poiché non un passo si è fatto in quella direzione, per portare a compimento quelle battaglie e consentire la nascita di nuovi diritti. Anzi, le timidezze su conquiste ormai quasi “banali” sul piano dei diritti civili lasciano davvero attoniti (oltre a costituire materia di costante richiamo in sede europea). Questa strada interrotta – che è il frutto di un repentino adattamento alla realtà di quelle generazioni di sognatori – trova un corrispettivo, particolarmente visibile nel Mezzogiorno d’Italia, nella famelicità con la quale i figli di chi aveva accumulato hanno sperperato, distrutto, cementificato. Ricordo Negli Anni Ottanta le elezioni nel mio Comune d’origine, quando i candidati al Consiglio comunale erano tutti dipendenti, o futuri tali, dei più svariati e inutili consorzi: la società meridionale stessa pareva fluttuare in un sistema non solare, ma parastatale. Si guadagnava senza lavorare (in nero) quando,dopo pochi anni di lavoro, si andava in pensione. E quell’apparato di privilegi diffusi aveva preso il nome di diritti. Anche per questo, quando sono arrivato all’età della ragione, il termine diritto aveva smarrito il senso, oltre che la lettera maiuscola. Lo stupido egoismo della generazione dei nostri padri trova la migliore rappresentazione nel paradosso di chi ha scavato dall’interno lo stato sociale, e la sua stessa possibilità di sopravvivenza, in ragione di una sua ipertrofica espansione: il prezzo da pagare è che molti già hanno visto i figli partire, emigrare (per usare un termine tristemente noto ai loto padri), non vedranno probabilmente i nipoti crescere e si trovano anche nella necessità di costruire attorno ai figli che restano una parvenza di stato social, finanziato con gli ultimi resti dei propri bagordi.
Roberto Saviano – L’antitaliano www.lespresso.it – L’Espresso – 27 agosto 2015 -

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