La Nostra Specie si distingue dagli altri viventi in
molti modi e soprattutto perché concepisce tre diversi momenti della vita: il
presente, il passato, il futuro. Noi abbiamo cioè il concetto del tempo che gli
altri viventi non concepiscono. Il tempo è la principale categoria del nostro
modo di essere: il calendario, l’orologio, la memoria, l’immaginazione e infine
la nostra morte non sono che derivazioni concettuali del tempo ed anche la
nostra ricerca della divinità lo è. Cerchiamo Dio come un’entità fuori dal
tempo, sempre esistente e sempre esistita, eterno. In realtà Dio è la nostra
vendetta contro il tempo: è lui che l’ha creato, è lui che lo determina e lo
domina perché lo trascende. Il concetto di trascendenza è assolutamente umano e
fa tutt’uno con Dio. Quante cose ha inventato l’uomo! E’ un capolavoro della
natura che ha un solo obiettivo, un solo istinto da cui tutto nasce: esistenza,
sopravvivere. E’ un istinto presente in tutti gli esseri viventi, dai vegetali
agli animali, ma noi ne siamo consapevoli o almeno crediamo di esserlo. Alcuni
confermano l’esistenza mutevole del tempo, altri l’hanno negata o l’hanno resa
perfino reversibile nel senso che può procedere al futuro ma perfino
all’indietro. L’ha fatto Einstein attraverso formule matematiche ed anche la
meccanica quantistica. Tra i filosofi l’ha scritto a suo modo Epicuro e,
altrettanto a suo modo, il Faust e Goethe: l’evocazione dell’attimo fuggente in
un momento di felicità che s’identifica col presente e svanisce se scorre verso
un incognito futuro o verso un passato che ispira la nostalgia di averlo vissuto
ma non tornerà più. Epicuro E’ Diverso: esorta gli uomini a inchiodare il
tempo sul presente e vivere quel presente nel modo più soddisfacente possibile saziando
in quel momento tutti gli appetiti dei quali la sua natura gli chiese
soddisfazione. E lui li soddisfa e continua a soddisfarli man mano che la
natura, dopo esser stata saziata, glieli propone di nuovo. Insomma desideri
ripetitivi che non hanno un futuro ma si inchiodano appuntoad un presente che
tale rimane perché si ripropone. L’attimo fuggitivo non fugge più perché viene
costantemente soddisfatto. Naturalmente Epicuro è ben consapevole che il
presentimento della morte insidia la felice soddisfazione dei desideri, ma
trova un modo alquanto sofisticato di sgominarlo quando la morte verrà a posare
la sua mano sulle tue spalle tu sarai già fuori dalla percezione della vita e
quindi non ti accorgerai di morire. Perciò la morte non ti riguarda. E’ vero
che spesso la morte viene dopo un lungo periodo di sofferenze, ma la reazione
del vivente e la sua sofferenza non riguardano la morte che semmai sarebbe
attesa come fosse una liberazione: riguardano la battaglia contro la malattia
che produce la sofferenza nel moribondo. Il suo impegno è teso a vincere quella
battaglia, non a sconfiggere la morte. Difficile Dire se Epicuro interpreta adeguatamente
la vita, la felicità, attraverso la limitazione del tempo al presente; questo è
il suo tentativo . Per quanto mi riguarda è il suo tentativo. Per quanto mi
riguarda constato tuttavia che la grande maggioranza della nostra specie
privilegia, magari senza rendersene ben conto, il presente rispetto al futuro e
al passato. I giovani specialmente. Senza saperlo sono epicurei ed è del tutto
fisiologico: il loro passato è ancora molto breve, il loro futuro non
programmabile perciò il loro tempo privilegia soprattutto il presente. Cercano
esperienze e se sono soddisfacenti le ripetono. Da questo punto di vista
Epicuro non è un filosofo da buttar via: interpreta soprattutto una fase della
vita, a volte con risultati positivi per tutti.
Eugenio Scalfari – Il vetro soffiato www.lespresso.it – L’Espresso -20 agosto
2015 -
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