Quando per puro caso, diventai
giornalista, mi innamorai senza scampo del mestiere, non solo perché scoprivo
in me passione he non avevo mai immaginato, ma perché mi salvava dal mio ovvio
destino: un marito purchessia, allora bastava, e un po’ di piccini, ai quali,
in generale, io ero allergica. Certo continuavo anche a innamorarmi di uomini
bellocci a cui però chiedevo, appunto, solo amore e solo nei ritagli di tempo:
perché la passione era fiondarmi nella casa di un sospetto efferato assassino e
farmi raccontare da mamme e nonne la vita del (per loro) buonissimo e innocente
ragazzo. Per dire come eravamo ai margini, io ero la sola donna in una
redazione di più o meno trecento uomini e c’ero solo perché la sola giornalista
femmina precedente (simbolo di democrazia) era stata l’unico giornalista a
licenziarsi per solidarietà al direttore pure lui licenziato. Le donne
lavoravano ma ai piani bassi, altro che tetto di cristallo, al massimo
arrivavano al mezzanino. E se per caso sognavano una carrierina (non si osava
guardare troppo in alto), bastava che firmassero una lettera con cui si
licenziavano nel caso restassero incinta. Però se pur rare, anhe allora c’erano
donne al top, direttrici di banca, amministratrici delegate di aziende di
famiglia, docenti universitarie, addirittura primarie d’ospedale e persino
magistrate. Donne che avevano fatto una carrierona: e mentre c’erano ragazze
che per non rinunciare a un lavoro di dattilografa, per loro indispensabile
alla sopravvivenza, rinunciavano al figlio per evitare il licenziamento, le
donne di potere erano anche mammissime.
(..). Ma non si smette mai di trovare punti deboli nelle donne, partendo
soprattutto dal fatto che donna è mamma, e che se non è mamma potrà forse
governare l’universo, ma non sarà donna; in più in felicissima, dimezzata,
sospetta, incapace di capire i bisogni della nazione e quindi di saper fare il
suo mestiere: che sarebbe un mestiere da uomo che on figli o senza va benissimo
lo stesso, nel suo caso non è quello che conta. Ancora oggi quindi ‘è
quest’arma in mano a chi rimpiange la donna chiusa in casa a nutrire i figli
anche ventenni e ad aspettare il ritorno del pater familias in guepiére rossa o più probabili ciabatte. Se davvero vuoi fare carriera come
un uomo, dovrai dedicarti solo al lavoro, sarai costretta a rinunciare alla tua
missione e alla tua felicità, i figli, mentre lui potrà avere la casa piena di
piccini amorosamente allevati dalla sua sposa, lasciando lui libero di pensare
al mondo. Ma se sul serio una donna preferisse il lavoro e dei figli facesse
anche a meno? Oppure: se non si sentisse per niente materna e non volesse far
finta di esserlo evitare critiche e compatimenti. Se adorasse i figli di
fratelli e sorelle e le bastassero. Se amasse uomini che non vorrebbe come
padri dei suoi figli. Se non fosse fisicamente in grado di averli e non se la
sentisse di affrontare cure incerte o eterologie varie. O credesse fermamente
nel romanzo Ogni passione spenta di
Vita Sackwille West e alla sua protagonista che a 80 anni, dopo aver dedicato
la vita alla famiglia, si accorge che i suoi figli, ormai anziani, non le
piacciono per niente. E’ vero, i sono sempre più donne che vogliono
assolutamente essere madri e ricorrono alla fecondazione assistita: ma proprio
per questo si accetti che tante cogliono (o devono) farne a meno.
Natalia Aspesi – Donna di Repubblica – 8 agosto 2015
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