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giovedì 20 agosto 2015

Lo Sapevate Che: Le imprese vanno via, l'Italia svende il suo cuore industriale....



Con l’acquisto dell’Italcementi da parte della Heidelberg, la Germania si è presa un’altra oncia del cuore industriale italiano. Ora si tratta di vedere quanto tempo sarà necessario ai tagliatori di teste tedeschi per chiudere un bel po’ di stabilimenti italiani e trasferirli altrove, lasciando per strada migliaia di lavoratori. E’del resto un film già visto in altri settori, dalla chimica alla siderurgia. Dal 2007 a oggi l’Italia ha perso quasi un quarto della propria produzione industriale, come di solito avviene soltanto dopo una guerra perduta, fra le macerie dei bombardamenti. A fare un elenco delle grandi aziende italiane vendute o portate all’estero soltanto negli ultimi tempi c’è da rimanere terrorizzati, dalla Pirelli alla Fiat, da Ansaldo a Luxottica, da Indesit a Bulgari, da Parmalat a Italcementi a Ferrari e ancora non si sa quale fine farà l’Ilva di Taranto. Dal dopoguerra ai nostri giorni non si era mai assistito in una nazione europea a un processo di svuotamento industriale così rapido e potente. Non soltanto per quantità, ma anche per qualità. Sono i migliori che se ne vanno, per così dire, le aziende e i march più competitivi, le produzioni più tecnologiche. Se ne va insomma dal nostro Paese la complessità, la bellezza  in definitiva il futuro. Quel che rimane ridisegna al ribasso il profilo industriale e culturale dell’Italia, come potenza produttiva di terza fila, con un apparato vecchio. L’effetto complessivo è un aumento disoccupazione generale. l’esplosione di quella giovanile e infine l’emigrazione delle energie laureati e sempre meno lavoratori altamente qualificati, ma a quei pochi non riesce neppure a trovare un impiego adeguato. Le cause della catastrofe sono molte e alcune riguardano, come ormai dicono tutti, le politiche di austerità. I governi italiani di qualsiasi colore non sono in grado di favorire una vera modernizzazione, non hanno soldi  per fare le autentiche riforme, per esempio investendo grandi percentuali di Pil sull’istruzione, la formazione e la ricerca come hanno fatto in questi anni le nazioni del Nord. Per pagare gli interessi sul debito sono piuttosto costretti ad aumentare le tasse e a competere con l’industria privata nella ricerca di capitali sul mercato. Il contrario di quanto ha fatto la Germania, che pure a noi impone queste ricette suicide. Ragion per cui governi di ogni colore ormai da vent’anni neppure immaginano un piano industriale e distraggono l’opinione pubblica con finte riforme, che servono soltanto a mascherare (male) il declino. Se nulla cambia, l’Italia continuerà a perdere ogni anno un pezzo industriale e altri posti di lavoro, quelli veri. Quelli finti si possono sempre inventare per legge.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 14 agosto 2015

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