Le alghe non
sono tutte uguali. Neanche nello stesso mare. Per esempio,in quello dell’isola
di Capraia, nell’Arcipelago toscano, ci sono alghe arborescenti che creano
foreste rigogliose: sotto alle chiome ospitano animali e vegetali di tante
specie diverse e fanno il mare vivo. E poi ci sono alghe come tappetini
muschiosi, più solitarie e povere di biodiversità. La ragione per cui lungo un
pezzo di costa prevale l’una o l’altra, siamo noi. O meglio è il nostro inquinamento,
che danneggia la prima e lascia ampio spazio alla seconda. Per capire come
quest’ultima prenda il sopravvento, e se il suo sgradevole trionfo possa essere
previsto, un gruppo di ecologi del Dipartimento di Biologia dell’Università di
Pisa si è messo lì, sette anni con le ginocchia a mollo nel mare, a contare
animale per animale. In questo modo ha mostrato che il passaggio dalle foreste
rigogliose ai tappetini muschiosi avviene quasi all’improvviso. Ma anche che
qualche segno premonitore c’è. Lo studio, pubblicato in luglio dalla rivista Current Biology, è il primo che è stato
fatto direttamente nel mare ed è riuscito a identificare questi segni
premonitori. La speranza è che da qui derivi una nuova possibilità di
monitorare lo stato di salute degli ecosistemi marini e i danni causati dalle
nostre attività. Nel dettaglio: la prima alga, quella “buona”, appartiene al
genere Cystoseira. “sono alghe brune con una chioma di 30 o 40 centimetri di
Altezza, che vivono su coste rocciose, dalla battigia fino a qualche decina di
metri di profondità” spiega Lisandro Benedetti-Cecchi, che ha diretto la
ricerca. “Sono molto sensibili all’inquinamento, perciò le foreste sottomarine
si trovano solo nelle zone meno contaminate”. Gli scienziati hanno preso in
prestito dal mare piccoli frammenti di queste foreste, delimitando quadrati di
50 centimetri per 50 nei quali hanno simulato i danni causati dall’uomo.
“Abbiamo, cioè, tagliato un po’ alla volta la chioma della Cystoseira, imitando
il diradamento progressivo che si ha in risposta a un inquinamento crescente. E
così abbiamo potuto osservare che l’ecosistema inizialmente reagisce abbastanza
bene. Poi, pur apparendo stabile, comincia a mostrare improvvisi picchi di
perdita di ricchezza”. Sono come improvvisi gridi di allarme nel mezzo di una
calma piatta. A questi, inevitabilmente, segue il punto di non ritorno: la
foresta scompare e arriva un ecosistema più povero. Ecco perché le foreste di
Cystoseira non sono solo importanti da proteggere in sé: “sono anche una buona
sentinella dello stato di salute più generale dei mari”. Una sentinella capace
di avvertirci quando la sofferenza delle acque non è dovuta a fenomeni
naturali, come mareggiate od ondate di calore. Ma all’inquinamento e ai suoi
danni.
Silvia Bencivelli – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 21
agosto 2015 -
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