Ho sognato un piccolo
assembramento di fantasmi: le lenzuola che nascondevano le membra scarne erano
argentate come la luna. E catarifrangenti come diamanti. Frusciavano al ritmo
delle stesse onde che lambivano le pietre, improvvisate a giaciglio di
sfortuna. Ho sognato anche che quei fantasmi affamati rinunciavano al tozzo di
pane che qualcuno, passando, offriva loro. Ma poi ho sognato ancora una terra
libera che li stava costringendo là, perché non aveva saputo trasformare la
loro semplice domanda in una speranza, sbattendola invece sulla pietra come un
polpo. “Perché secondo voi siamo qui?”, si ostinavano a chiedere imperterriti
quegli spettri neri e argentati. “E scusate se non siamo annegati”, dicevano alle orecchie sorde
di gendarmi con il naso all’insù. “Siamo qui perché vogliamo solo passare, per
cercare un posto dove ci sia umanità”, sussurravano alla fine, con l’ultimo
fiato. Ma la voce degli ultimi si confonde sempre con il rumore delle onde,
schiacciata da scogli d’odio. E qualcuno, rispondendo alla Storia, se la caverà
così: non li ho visti, non li ho sentiti.
Paolo Izzo – Letteretiche.wordpress.com
Grazie per questa sua lettera che
denuncia come noi occidentali, dopo avere costruito il nostro benessere sulla
colonizzazione del mondo, oggi stentiamo ad accogliere le vittime degli effetti
tardivi e disastrosi della nostra colonizzazione in quei Paesi dove altri
colonizzatori, pù feroidioi ao preso il nostro posto. O dove guerre di potere,
cui noi non siamo del tutto estranei in termini di interessi economici o
addirittura di fornitura di armi, seminano vittime in stragi di massa,
costringendo chi fugge a preferire una morte probabile a una morte certa. Ci
consideraimo una civiltà superiore perché difendiamo e talvolta, un po’
ipocritamente, tentiamo di esportare diritti umani e democrazia, alla
condizione però, che questi due valori non configgano col mercato, perché in
questo caso non esitiamo a sacrificarli. (..). “Angoscia e nostalgia della
patria sono Prte del destino dello straniero che, non conoscendo le strade del
paese estraneo, girovaga smarrito. Se poi impara a conoscerle troppo bene,
dimentica di essere straniero e si perde in un senso più radicale perché,
soccombendo alla famigliarità di quel mondo non suo, diventa estraneo alla
propria origine. Nell’alienazione da sé l’angoscia sparisce, ma comincia la
tragedia dello straniero che, dimenticando la sua estraneità, dimentica anche
la sua identità” (M.Lidzbarski, Ginza.
Il libro dei Mondei). Se
queste considerazioni hanno una loro plausibilità, viene da pensare che le
radici cristiane, in cui l’Occidente si riconosce si sono rinsecchite e non
hanno generato neppure un misero arbusto. Inoltre, per effetto della
globalizzazione, nonostante i muri e i fili spinati che qua e là andiamo
costruendo, in realtà stanno cedendo i confini dei territori su cui si orientava la nostra geografia. Usi e
costumi si contamineranno e, se “etica” vuol dire “costume“, è possibile ipotizzare
la fine delle nostre etiche, fondate su quei principi, oggi non più tanto
solidi, di nazione, territorio chè la storia sta accelerando quei processi di recente avviati, che sono nel
segno della “de-territorializzazione”, dove il “prossimo”, sempre meno specchio
di me, e sempre più “altro”, obbligherà tutti a fare i conti con la
“differenza”. Vediamo di non arrivare in ritardo.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 8 agosto 2015
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