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domenica 23 agosto 2015

Lo Sapevate Che: Il mio armadio è il tuo....



Condividere ci piace. Gli italiani, dicono le ricerche (Nielsen, Coop), sono tra i popoli europei più aperti alla sarin economy: 22 persone su 100 già lo fanno, e questo attira da noi imprese come la francese Blablacar e le americane Uber e Airbnb, che accogliamo con l’entusiasmo di chi scopre la libertà dopo una vita in gabbia. Niente gerarchie, poche regole e condivise, rapporto da pari a pari. Un settore in cui condividere è un po’ gioco, un po’ necessità, è quello della moda: per vestirsi le donne hanno sempre guardato nell’armadio della mamma prima, delle amiche poi.Oggi Internet permette di allargare su scala questa abitudine. Soprattutto per l’oggetto del desiderio ha una griffe, è un prodotto esclusivo. I primi a intuirlo in Italia sono stati 4 amici milanesi, che dopo una campagna “family&friends” per mettere insieme un milione di euro sono partiti col sito My secret dressing room, dove “secret stylist” dal guardaroba invidiabile mettono a disposizione di “secretfan” il loro armadio. Abiti e accessori di Gucci, Dolce&Gabbana e via dicendo da indossare per un’occasione – anche solo un giorno – e poi restituire. “La piattaforma mette in mostra gli oggetti e in comunicazione chi presta e chi prende”, dice Sammy Levit, 43 anni, uno dei fondatori. “Una assicurazione copre i casi di danno o di furti. Aiuta la dimensione etica del web, “ la convinzione che la reputazione virtuale è un valore”, ragiona Levit, se aiuta nelle successive transazioni”. Per ora My secret dressing room è attiva a Milano e Londra, ma studia l’espansione, innanzitutto all’estero. Il modello di business infatti è stato già imitato. A San Francisco è nato Stylelend, con l’invito “un abito non va mai indossato due volte”. Per i piccoli in Italia è attivo L’armadio verde, che consente alle mamme di liberarsi di indumenti che ai figli non vanno più bene e prenderne altri, come fa Swap.com negli Usa. Sempre negli Usa è attivo Rent the runa, 4 milioni di membri; in Olanda debutta Rewear ”slow fashion movement” abiti di qualità ma col vantaggio economico del riuso. Mentre insieme una comunità di fashion victim dichiarate come fanno questi siti ha un valore economico notevole per le aziende produttrici. che guardano al fenomeno con grande interesse. “Non abbiamo contatti con i grandi stiliiisti”, spiega Levit, “ ma con gli emergenti sì”. Stiamo valutando le possibili evoluzioni del sito”. Inutile chiedersi quanto questa sia davvero sarin economy, che deve seguire il mantra della condivisione tra pari, o un modo per fare denaro (che per i puristi del settore comporta il passaggio da “share” a “extralarge”). Il cammino è segnato, e non si tornerà indietro.
Paola Pilati – Sharing Fashion – L’Espresso – 20 agosto 2015-

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