Caro Michele, volevo
condividere con te e i tuoi lettori questa mia piccola felicità. Riprende a
piovere alla grande, qui in Adraga, dopo una breve pausa. Una bella pioggia
scrosciante che lava querce, ulivi, quel piccolo limone che frutti non dà.
Bagna quel centinaio di vasi disseminati a caso, con una varietà floreale da far invidia al
migliore degli orti botanici. L’anziana madre se ne occupa con passione e amore
impareggiabili. Anche l’amaca, tra due resistenti ulivi, è inzuppata. C’è un
profumo di menta nell’aria, se annusi a pieni polmoni. Il susino ai piedi della
scala ha giò quasi pronti i primi frutti e i colori dal verde al prugna fanno
gradevolissima varietà sui rami stracarichi. La rocca che svetta alla mia
sinistra mi appare particolarmente affascinante: quella macchia mediterranea
bagnata sul monte di pietra m’incanta. Roberto Vecchioni sta cantando Hotel dei giorni immobili. Sorrido e mi
delizio. Tutto è immobile, un silenzio balsamico. Perfino della dolcissima
Vittoria non sento traccia. Senti, invece, una pace immensa dentro. Pensi che
un riposo così non lo cambieresti con nulla. Pensi che abbia molto a che fare
con un’idea di piccola felicità. E ti senti davvero un ragazzo fortunato. E
grato.
Enzo Sciamè – Sambuca di Sicilia
Caro Enzo, hai una grave responsabilità. Avevo previsto di
trovare spazio per altre lettere; su questioni gravi; su problemi urgenti. Per
colpa tua, non lo farò. Quando ho detto le tue parole ho deciso che questioni
gravi e problemi urgenti potevano e dovevano, per una volta, saltare il turno.
Noi due non ci conosciamo, ma leggendoti è come se. E sono sicuro che anche i
lettori, che sono tanti, capiranno. E’ soprattutto la tua ultima parola ad
avermi colpito: “grato”. A scoprirci fortunati, ci possiamo arrivare in
parecchi. E’ sentirci grati che è meno facile e meno frequente. Grati - so di
dire una banalità – di essere vivi. Meno banale, forse, è la coscienza di
essere, della vita e dunque della natura, dei dipendenti, in tutti i sensi.
Penso che la parola “grazie” sia, in questo senso, la più liturgica: quella che
contiene il senso di tutte o quasi le preghiere. E ritorniamo, adesso, alle
cose urgenti e gravi.
Michele Serra – Per Posta – Il Venerdì di Repubblica – 21
agosto 2015 -
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