Con La Manifestazione di sabato 28 marzo a Roma, Maurizio
Landini si è conquistato molta più audience su giornali e tv di quanta gliene
abbia in realtà riservata la sua “piazzetta rossa” (..). Non è strano. Matteo
Renzi gode di vasti consensi popolari e non, e dunque un leader che lo critichi
da sinistra fa notizia. Si dice poi che
pensi a fondare un partito, e anche questa notizia fa gola. Anzi, siccome verrà
confermata e smentita mille volte, sarà notizia mille volte. Si dice infine che
voglia il posto di Susanna Camusso, ci vuole un congresso, e siccome il
congresso della Cgil si terrà nel 2018, di Landini e della sua “coalizione
sociale” parleremo e parleremo e parleremo. Già, ma cosa lo spinge? Landini
ripete che la sinistra non c’è più. La fabbrica, che della Fiom è stata per
anni l’azionista di riferimento, si è drasticamente ridimensionata, ha adeguato
ritmi e modi di produzione, si è trasferita in Romania o in India, e i suoi
abitanti hanno cambiato radicalmente modi di essere e di agire. Valga per tutti
il caso di Pomigliano d’Arco, dove Landini ha chiamato allo sciopero contro il
sabato di lavoro straordinario e gli operai se ne sono bellamente infischiati:
non saremo certo noi da qui, avranno pensato, a spiantare Detroit e
Francoforte…Di questa perdita di ruolo e di peso i sindacati hanno preso
atto.(..). Difficile Per Un Sindacato muoversi su questi nuovi sentieri, e
pronunciarsi di conseguenza: per esempio, si parla di contratti e di statuto dei
lavoratori, da che parte si sta, sa quella di chi un lavoro già ce l’ha, o di
chi non ce l’ha mai avuto? Finora Landini non ha scelto. Anzi, tirandosi
addosso accuse di strabismo politico-sindacale, dice di voler rappresentare sia
gli uni che gli altri. E infatti, nonostante la rumorosa presenza in piazza e
l’iniquità nei talk-show che gli ha consentito (dati Agcom) di stare sugli
schermi quattro colte più della Camusso e sei più della segretaria della Cisl
(i guru della tv dicono che solo Matteo Salvini tira di più), il consenso
personale a lui e al suo progetto per ora non decolla: più o meno il 10 per
cento, calcola Nando Pagnoncelli, avvertendo che si parla di apprezzamento e
non di intenzioni di voto. Per carità, cifra di tutto rispetto, ma ben lontana
da quell’esercito di non garantiti, non votanti, cultori dell’antipolitica che
vorrebbe reclutare. Insomma, la sfida di Landini è assai ardua.
Non solo per ciò che si è già detto. Ma perché è davvero difficile convincere
gli italiani che una costola di un’organizzazione sindacale possa da un giorno
all’altro smentire anni in cui, come dice Raffaele Cantone a Gianluca Di Feo (
“Il male italiano”, Rizzoli) i sindacati sono stati “vittime di una logica
corporativa che li ha resi custodi della peggior burocrazia”. Fare (di nuovo)
del sindacato un “soggetto generale” è lavoro di lunga lena, e non bastano
qualche comparsata in tv, una piazza piena e un po’ di agitazione. Ci vogliono
anni e proposte concrete. E la piena autonomia dalla politica.
Bruno Manfellotto – Questa settimana – www.lespresso.it – bmanfellotto – 9 Aprile
2015
Nessun commento:
Posta un commento